Un quarantenne goffo e depresso si innamora ad una festa di una donna affascinante, che però ha un figlio, gelosissimo. Nel film dei fratelli Duplass i dialoghi spassosi allontanano il rischio di uno scontato romanticismo
di Alessandra Minervini
John (John C. Reilly) è un editor televisivo quarantenne che vive a Los Angeles, da solo. Jamie (Catherine Keener) la sua ex moglie, e migliore amica, sta per risposarsi con Tim (Matt Walsh). La notizia fa collassare John in una depressione nera: è convinto che la sua vita sentimentale sia al capolinea. Jamie lo rassicura: certo che c'è, devi solo cercarla. Così lo convince ad andare a una festa, ubriacarsi e sciogliere i nervi. John obbedisce e si lancia goffamente nella vita sociale. Lo slancio è buffo e lui risulta la caricatura di un uomo: impacciato, sincero, disperato. Flirta nel modo più sbagliato: costipato dall'alcool, non si vergogna nemmeno di mostrare le cicatrici della vita (“Solo solo, sono depresso, sono a terra”). Le donne lo evitano, tutte. Tranne una. Si chiama Molly (Marisa Tomei). I due la stessa sera finiscono a letto, ubriachi. La cosa ha tutta l'aria di una one night stand. E invece John perde la testa per questa fascinosa donna dall'indole leggiadra. I due si frequentano quotidianamente. Ma Molly ha un altro uomo. E' suo figlio, Cyrus. Un ragazzo di 21 anni, obeso, faccia d'angelo, in apparenza innocuo ma in realtà è un vero bad guy che non ha alcuna intenzione di dividere l'adorata madre con nessuno. Tanto meno con John...
Cyrus, dopo i consensi ottenuti al 28° Torino Film Festival, esce nelle sale italiane il 10 dicembre. Il film è una combinazione di dramma e comicità che mette in scena la solitudine degli anni Zero. I tre protagonisti, John, Molly e Cyrus sono tre rami secchi della società, nessuno li cerca e loro non cercano nessuno. Ma non aspettatevi tre piagnoni. Al contrario. Nel film i tre non fanno che parlare: la logorrea è comicamente sia causa che effetto della loro solitudine. Personaggi veraci e dialoghi incisivi evitano, per nostra fortuna, di costruire stereotipi. Per esempio, all'inizio della loro storia John e Molly si conoscono appena, a dire il vero sono andati a letto e basta. Eppure lui dice, commosso: “Voglio provarci. So che non è una cosa da duri da dire. Ma voglio che questa storia funzioni.” Touché. Che altro dire? Molly tace, gli sorride e lo bacia. Infatti.
Quando Cyrus, John e Molly condividono la scena è uno spasso. I tre non hanno nulla in comune. A parte essere soli e temere di restarci, per sempre. E questa paura da un lato ci intenerisce, dall'altro ci innervosisce. Con loro non sai mai quello che avverrà, quello che diranno. Nel film gli attori, di una sensibilità eclettica, giocano al rialzo. Uno dice una cosa e subito l'altro sembra guardarsi intorno e pensare: chi offre di più? Ogni risata è sconfortante. Merito anche della sceneggiatura dei fratelli Jay e Mark Duplass (anche registi) che crea un racconto che non si scioglie nel romanticismo scontato. Il film rientra nel genere mumblecore che, in realtà, è un movimento (una tendenza) molto diffusa nel cinema americano indipendente e che richiama il borbottio (mumble) che è una caratteristica di questi film a basso costo che puntano tutto sulla narrazione, i dialoghi, la sceneggiatura e il passaparola. A questo, al passaparola, siamo felici di contribuire.
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CYRUS, DI Jay e Mark Duplass, usa 2010, 92 m
Commenti
Non sono arrivato alla fine.
Non sono arrivato alla fine. L'idea del figlio leggermente ritardato e col rapporto morboso con la madre non è male, per mettere in termini ironici la quesione dei rapporti di coppia con figli... Ma a un certo punto la banalità degli svolgimenti trasforma l'attesa in disinteresse e la noia prende il sopravvento. Sì, come detto e votato... Anche no!
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