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MOSTRA

Le terrazze romane di Corot

In mostra a Verona una eccezionale selezione del paesaggista francese: 100 quadri provenienti soprattutto dal Louvre, che illustrano il percorso di quello che viene definito l'ultimo dei classici e il primo dei moderni. E che aveva negli occhi l'Italia anche quando dipingeva Parigi


di Francesca Castellani

Veduta del Colosseo dai Giardini Farnese


Quando a organizzare una mostra è il Louvre, è un po' come se il Manchester United giocasse in casa tutta la Champions League: il risultato è scontato, e a punteggio pieno. Sto parlando della mostra Corot e l'arte moderna aperta alla Gran Guardia di Verona fino al 7 marzo: 100 quadri provenienti dal grande museo francese, e non solo. Qualcuno (con un pizzico, o magari anche più di un pizzico di snobismo) mi ha detto che in fondo era una mostra con tante opere "di magazzino", provenienti dai depositi. Sarà: ma quando i depositi sono quelli del Louvre, è sempre l'eccellenza che si ha a disposizione, con il valore aggiunto di poter vedere ciò che di solito resta nascosto.
 
Pierre-Henri de Valenciennes, Etude de ciel au Quirinal.jpgCosì la mostra – volendo spiegare cosa significa dipingere paesaggi nel primo ottocento, soprattutto se si è francesi: vale a dire, con quale tradizione negli occhi e con quali finalità estetiche – può permettersi il lusso di cominciare il percorso con capolavori di Poussin, Lorrain e Carracci, gli iniziatori del genere nel Seicento. Paesaggi animati dal racconto di umane storie (i testi sacri, la mitologia, la grande letteratura) ma dove la natura comunica uno “stato di verità” necessario alle azioni e ai sentimenti, come mai prima era accaduto.
Accanto a questi grandi, sorprende e (personalmente) commuove lo sguardo puntuale, devoto al vero come una preghiera, di un "piccolo maestro" come François Desportes, a metà strada tra sei e settecento. Alberi e piccola casa è fatto di niente: un semplice pezzo di cartone, con un pezzo di muro affacciato sul verde delle querce e l'azzurro di uno scampolo di cielo - semplice, ma tanto rigoroso da svelare l'interna geometria del mondo…
 
E’ lo spirito di una contemplazione assorta nelle piccole cose al punto da farne scaturire, per un incanto nato dalla ragione, la loro segreta misura, ciò che da questa tradizione passa nella pittura di Corot e di altri petits maitres a inizio ottocento: Pierre-Henri de Valenciennes (sopra: Studio del cielo sul Quirinale), che nel 1800 pubblica anche un trattato, Achille-Etna Michaillon, il primo paesaggista a vincere un premio in accademia, Jean-Victor Bertin, insegnante di Corot. Precursori, maestri, ideali compagni di strada nella ricognizione dei cieli di Roma e delle sue campagne, alla ricerca della speciale sintesi tra colore e forma che l’Italia sembra offrire in modo più chiaro che altrove.
Così a specchiarsi nelle inquadrature strette, circoscritte su dettagli in apparenza dimessi e inessenziali, non è la città eterna degli eroi e degli antichi, ma l’emozione improvvisa di un tetto o un lembo di muro portato in vita dalla luce, capace di strappare l’istante alla fuga del tempo e fissarlo nel valore assoluto di un ritmo interno alla pittura.
 
paris, le vieux pont saint michel.jpgIl cuore della mostra si gioca qui, nel “dialogo a più voci” tra Corot e “gli altri” (col controcanto a distanza di Desportes): la capacità di distillare una regola senza smarrire la fragile grazia del momentaneo, che è il peculiare equilibrio di Corot, emerge in modo chiaro.
Una qualità che il pittore acquista sotto il sole italiano per farne uso nell’atmosfera francese: che sia a Parigi o, negli anni ’40-’50, nella foresta di Fontainebleau, che dipinga studi dal vero o grandi tele nello studio, è la vibrazione della luce a dare vita alle forme ma nel contempo a rivelare, con la sua unità di tono, quella costante che gli occhi colgono nella varietà della natura. (Qui: Parigi, la veduta del ponte Saint-Michel).
E’ questo a fare di Corot un “classico” – come ribadisce la mostra – ma anche “il primo dei moderni”: i curatori hanno concentrato l’ultima sezione in un confronto serrato con Cézanne (un altro che usa il tocco come misura di spazio-luce, come il muratore fa col mattone), Sisley, Monet, fino a Braque e Picasso all’insorgere del cubismo (meno convincente il rapporto con Mondrian). E’ la via francese all’avanguardia, una via di ragione più che di sentimento: e di certo ha molto imparato dai tetti romani di Corot e Valenciennes.  


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08 Gennaio 2010

Oggetto recensito:
Corot e l’Arte MODERNA, palazzo della Gran Guardia, Verona
Fino al: 7 marzo, tutti i giorni fino alle 19.30
 
Chi l’ha curata: Vincent Pomarède, che è forse il maggior esperto di Corot
 
I viaggi in Italia: Corot ci va tre volte: nel 1825-28, nel 1834 e nel 1843. Il primo viaggio, come sempre, è il più importante
 
La botta di chic: La foto dello studio di Braque con la riproduzione della Ragazza con la chitarra di Corot
 
La frase più bella: l’ha scritta Proust, però non su Corot, ma sulla Veduta di Deft di Vermeer: “Una piccola ala di muro gialla, di una bellezza che basta a se stessa”… da custodire nel cuore come un breviario, mentre si guarda Corot
giudizio:



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