Il Salone del Mobile di Milano è l'occasione per celebrare la creatività nostrana. Ricordando il recente spettacolo Mani grandi, senza fine, che ridà voce ai grandi degli anni Sessanta
di Sergio Buttiglieri
Eccoci alla cinquantesima edizione del Salone del Mobile di Milano: la manifestazione del settore più importante al mondo. Questa settimana Milano si trasforma in una vera città cosmopolita: 350mila visitatori che, oltre a percorrere la nuova avvenieristica fiera di Fuksas a Rho, navigano per tutta la città armati di "guide fuorisalone" in cerca di eventi. Eventi che si svolgono non solo negli show room istituzionali dei più importanti brand dell’arredamento, ma anche in luoghi inaspettati del notevole tessuto architettonico ambrosiano, che contribuiscono a far percepire Milano come la vera capitale italiana, quella della creatività. Un primato raggiunto subito dopo la seconda guerra mondiale e che ancora oggi rappresentano in tutto il mondo figure come Castiglioni, Magistretti, Menghi, Sottsass, Viganò e Zanuso.
Forse però non tutti gli italiani lo sanno: bene quindi ha fatto Laura Curino a portare in scena al Teatro Studio nel mese di febbraio Mani grandi, senza fine. Nascita e ascesa del design a Milano, un esemplare ritratto delle eccellenze del made in Italy degli anni ’60.
La Curino non è nuova a questo tipo di operazioni, in cui tratteggia i protagonisti della migliore imprenditoria italiana. Ricordiamo un recentissimo L’uomo del Cane Nero, in tournée l'inverno scorso, toccante ritratto della figura di Enrico Mattei, fondatore dell’ENI; oltre a un precedente lavoro sulla poliedrica figura di Adriano Olivetti, imprenditore altamente atipico, che non a caso chiamò a collaborare con la sua azienda letterati come Giorgio Soavi e Paolo Volponi e designer come Ettore Sottsass e Mario Bellini.
Questo Mani grandi, senza fine, elaborato assieme a Manolo De Giorgi, autorevole esperto di storia del design, è stata per lei sicuramente un’ottima occasione per scavare nelle personalità di questi geni della forma, designer che ci hanno regalato indimenticabili oggetti culto i quali, oltre a disseminare della loro intelligente bellezza i set cinematografici dell’epoca, sono entrati nelle nostre case e nel nostro panorama affettivo al pari dei libri più amati. Longseller che spesso hanno fatto la fortune delle aziende, o che almeno le hanno fatte giungere nell’olimpo di quelle selezionate dall’Associazione per il Disegno Industriale e coronate con quei Compassi D’Oro che hanno fatto la storia del design mondiale.
Ma questo monologo tutto raccontato sopra un’impalcatura - metafora del vorticoso ricostruire del nostro dopoguerra - su cui vengono proiettati rari filmati d’epoca dei personaggi in questione, è anche un magnifico pretesto per raccontarci l’Italia ancora non omologata di quei giorni. Per raccontarci una Milano appena svegliata dalla guerra che si rimbocca le maniche e ricostruisce, e ricostruendo crea le soluzioni ai nuovi bisogni dell’industrializzazione del paese: "una valanga di idee trasforma lo sguardo sugli oggetti, ma arriva addirittura a sovvertire le cose, a cambiare il modo di viverle, di crearle, di produrle e offrirle al mondo". E' il più bel romanzo che ha prodotto l’Italia del dopoguerra. Un romanzo che affonda le sue radici nell’operosità dei maestri comacini medievali.
Molti di questi designer, per ragioni professionali, li ho conosciuti personalmente: rivederli a teatro tutti assieme, grazie alla travolgente capacità oratoria della Curino, come se fossimo stati invitati da lei a una nuova inaspettata immaginifica cena in quei salotti milanesi densi di cultura che tanto hanno contribuito al fermento del periodo, è stata una bellissima sorpresa che mi ha fatto emozionare come rare volte.
Risentire la voce sorniona di Castiglioni che racconta "la caratteristica del mio modo di progettare è quella di smitizzare tutto, quindi in qualche modo anche l’oggetto. Io dico che bisogna tirare via… quando non rimane niente di troppo va benissimo… mai aggiungere, ecco”. Risentire come alla base di tutto il suo lavoro ci fosse la curiosità: se un progettista non è curioso, può "andare a scopare il mare… Io dico sempre che si deve essere curiosi per forza".
E subito dopo ritrovare quel pazzo geniale di Sottsass che ti stupisce sempre, e capire perché è cosi interessante leggerlo o ascoltarlo oltre che amarlo come designer, perché lui alla domanda "che libri legge?" risponde : "ho letto tutto, ho letto tanto quando ero ragazzo, più saggistica che romanzi; ho letto Freud, ho letto testi di antropologi, tutti i presocratici, i critici sui presocratici; ho letto molti libri di poesia, sia antica sia contemporanea; ho letto molti libri del romanticismo francese, la letteratura russa; fino a ventidue o ventitrè anni, quando si ha tempo di leggere, ho letto moltissimo".
Quei designer erano giustamente intrisi di cultura, e questo li portava a fare forme che erano e non sembravano, come diceva il buon vecchio Enzo Mari (che spero diventi il protagonista del prossimo capitolo curiniano sul design) in una mitica conferenza di qualche tempo fa: "la forma buona è ciò che è, e non quella che sembra. Perché tutto ciò che sembra è una imitazione. Forma e significato - incalzava Mari - lo dicevano già i greci, sono due corna dello stesso problema: corrispondono. Le forme che sembrano, come la quasi totalità delle forme prodotte in tutto il mondo, sono fatte prendendo dei significati superati, che imitano, si mischiano, fanno un minestrone indefinito, composto da dodicimila significati presi in tanti luoghi diversi, e tutto ciò produce una forma che semplicemente sembra.” Perché la qualità per Mari implica la conoscenza della storia. "Se ci si dimentica di questo allora ricadiamo nelle stupidaggini della pubblicità e dei telefilm."
Che cos’è quindi che ci invidiano all’estero e che così tanto affascina anche i designer d’oltralpe? Innanzi tutto la versatilità delle nostre imprese, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, che sanno risolvere problemi irriducibili per altri. Poi l’incredibile capacità artigianale, che si diffonde a macchia di leopardo in tante zone d’Italia a cominciare dalla mitica Brianza, e che ha permesso di realizzare il bel design dei grandi maestri come quelli citati (ma anche Albini, Scarpa, Munari, Sambonet), grazie a imprenditori anomali come Brion, Cassina, Zanotta, Gandini, Alessi, Gavina, Olivetti e Astori. E qui è stata la grandezza dell’imprenditoria italiana rispetto a quella degli altri paesi: capacità di pensare all’inconsueto e renderlo possibile. E questo che affascina enormemente i designer internazionali che bussano alla porta delle nostre aziende, consci che solo qui ci sono quell'indotto e quella creatività imprenditoriale che in tutti questi anni hanno reso concreto il buon Made in Italy. Ed è per questo che Milano in questi giorni è veramente straordinaria, per numero e qualità di eventi.
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MANI GRANDI, SENZA FINE. NASCITA E ASCESA DEL DESIGN A MILANO, DI E CON LAURA CURINO
Produzione: Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa/Cosmit/Fondazione Giannino Bassetti
Il resto della locandina: scenografia e immagini, Manolo De Giorgi; luci, video, scelte musicali, Lucio Diana
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