Non è il solito disfattismo antipatriottico. E' l'arte del disfieri, che la filosofa Luisa Muraro propone nella nostra serie di articoli sull'Unità: prendere le trame ingarbugliate del bel paese e sfoltirle, come si faceva con le maglie usurate per non buttarle via. Disfare la patria per fare gli italiani
di Luisa Muraro
Fatta l’Italia, si è detto che bisognava fare gli italiani, alcuni ci hanno provato e credo che siamo d’accordo per dire che sono venuti piuttosto male, certi dicono addirittura malissimo, ma io non vorrei cedere al pessimismo che è una caratteristica (difetto? virtù?) degli italiani in questione e scelgo di riprendere il discorso da capo.
Fatta l’Italia, bisognava cominciare a disfarla.
Dalla padella alle brace, nel disfattismo? No, tutt’altra cosa. Anni fa, guardando l’Arena di Verona e avendo in mente il Colosseo di Roma, ho avuto un’illuminazione da cui sono arrivata a inventare l’arte del disfieri, ricalcata su un’arte manuale femminile che nell’infanzia ho visto esercitare da donne anziane e io stessa, bambina, mi ci sono esercitata, intendo l’arte di disfare le maglie, quelle che non si portavano più per motivi di usura o altro, da cui si ricavavano gomitoli di lana destinati a nuovi manufatti.
Che cosa ho visto guardando l’Arena e pensando al Colosseo? Che la loro bellezza viene loro dall’essere grandiosi edifici in parte disfatti: disfatti non da bombe non da terremoti non da immani bulldozer, ma da forze di esseri umani tecnologicamente poco attrezzati che si sono rivolti a quegli immensi e magniloquenti manufatti romani di cui non coglievano più il significato e in cui vedevano soprattutto delle cave di marmo e sasso, per portarsi via quello che gli serviva, semplici pietre, colonne, capitelli, fregi, spinti alcuni dal bisogno di farsi una casa, altri da nuove idee architettoniche. Con stupore e ammirazioni mi resi conto che quella demolizione senza arroganza e senza ostilità, fatta con mezzi modesti, dettata da esigenze sane, aveva impresso su quegli edifici i segni di una bellezza che chiamerei spirituale. E pensare che, a suo tempo, quando erano intatti, dovevano essere di un’imponenza paurosa, visti da fuori e ancor più da dentro, se pensiamo al tipo di spettacoli che l’impero offriva ai sudditi e, peggio ancora, al tipo di pubblico che li guardava di gusto.
Sempre seguendo questo corso di pensieri, ho fatto una prova, un vero e proprio esperimento mentale, con il Vittoriano (detto anche Altare della patria) di Roma: l’ho fatto parzialmente demolire da donne e uomini del nostro paese secondo esigenze degli uni e delle altre. Il risultato è stato magnifico, purtroppo è rimasto solo sulla carta ma non dispero che un giorno quel mio scritto guidi inconsapevolmente le azioni collettive. La fiamma perpetua, per esempio, l’ho fatta spegnere da un gruppetto di bambini maschi scout, come li avevo visti fare in un film, tutti in cerchio intorno a un fuoco a fare pipì.
Veniamo all’Italia, anzi ci siamo già. La mia idea sarebbe di applicare l’arte di disfare le maglie anche all’Italia costruita dai piemontesi. Chi mi legge conosce le ragioni storiche in favore di questo progetto, riassumibili nel nome di Cattaneo. Da allora le cose sono enormemente cambiate. C’è stata la Resistenza, che ha dato un’anima (e una Costituzione) al manufatto piemontese. Oggi incombe il federalismo della Lega Nord che molti osteggiano non senza ragione. Il mio primo punto sarebbe di smetterla con gli atteggiamenti anti: con l’antagonismo si perde quella misura che è fondamentale nell’arte del disfieri. Ci sono dei discorsi, dei gesti, dei momenti in cui bisogna fermarsi, per non oltrepassare stupidamente il punto in cui il movente, da positivo, diventerebbe negativo e negatore dell’altro. Il movente positivo e il giusto dosaggio della forza messa in campo assicurano la misura, cioè la bellezza.
Per fortuna non abbiamo grandi forze. Suppongo che pochi di quelli che mi leggono ci vedano una fortuna e invece lo è, s’intende: dal punto di vista della realizzazione del progetto di cominciare a disfare l’Italia per farle trovare la sua forma migliore, così come l’hanno trovata il Colosseo e l’Arena. La forza che occorre è quella del bisogno da soddisfare e delle nuove idee da realizzare.
Non entro dei dettagli, lo farò se ci sarà interesse all’idea che sto proponendo, con l’avvertenza che ho conoscenza di un numero limitato di situazioni. In tutte queste ho verificato che il disfieri non è distruttivo e risulta anzi vantaggioso. Per fare un esempio minimo, spostarsi con l’automobile: ho rinunciato a farlo ma sfrutto le auto degli altri, è comodissimo ed è una pietra tolta al tremendo edificio della motorizzazione, nient’altro, ma è tolta e va a creare nuovi rapporti sociali.
Un esempio meno piccolo è la politica delle Vicine di casa, inventata dalla mia amica Sandra De Perini: conoscersi, frequentarsi, aiutarsi, creare cultura politica… invece di quella macchina pseudo mediatrice fatta di regolamenti, vigilanza urbana, delibere comunali. È un’idea da riprendere nelle difficili situazioni di insediamenti misti di immigrati e popolazione autoctona, ma non mi dilungo su questo perché io vivo in un quartiere dove gli immigrati arrivano solo a lavorare e poi spariscono. Ma i rapporti di buon vicinato sono sempre da coltivare vantaggiosamente per sé e per la civiltà: salvano la vita di una donna da un partner violento o la mia piccola pace da cause legali assurde. Tre volte, sempre distratta come sono dal pensare e dallo scrivere, ho allagato l’appartamento fino a bagnare i soffitti del piano di sotto, la terza volta c’era l’assicurazione casa del condominio e va bene, le altre due me la sono cavata con la generosità dei vicini. Fortuna? Buon carattere? Forse, ma è soprattutto un agire politico di trasformazioni dei monumenti di sasso in nuove forme di convivenza, con mezzi leggeri.
La pesante macchinosità della politica di sinistra mi ha sempre impressionata negativamente, sia quella che va in parlamento a proporre leggi su leggi sia quella che elabora teorie radicali che lasciano fuori gioco la buona volontà e l’inventiva delle persone singole. Ma la ragione principale della mia critica è questa: la macchina politica, più cresce e meno ti lascia vedere le possibilità reali che ci sono per esserci e agire. Che siano i potenti a ostruire l’orizzonte, si capisce, che lo facciano i loro oppositori, non si capisce. Ma ormai non c’è nessuno che lo faccia deliberatamente, l’ostruzione sembra essersi insediata nei cervelli. Da qui la proposta di disfare l’Italia, per rinnovare il pensiero politico con l’idea che l’ingombro di una costruzione troppo macchinosa può essere eliminato, facendo lei più varia e viva, noi più mobili e attivi.
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IL DISFIERI IN ITALIA
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