Dopo La lunghezza dell'onda, saggio sulla fine della sinistra e il ruolo dei nuovi movimenti, Francesco Raparelli analizza la seconda grande contrazione che travolge la globalizzazione. Rivolta o barbarie straccia il pensiero unico neoliberale e disegna le linee per una costituente sociale europea
di Gabriele Salvatori
Ottobre 2012. La crisi divora. È un mostro dalle fattezze imprecisate, nato nelle paludi del debito e della finanza. Un'entità che non può essere placata e costringe gli stati a ricorrere alla sapienza dei tecnici. Sono sacerdoti che conoscono le formule per esorcizzare il male, profeti poco acrobati di una religione chiamata capitalismo. Preparano la sala del rituale, chiamano a raccolta i fedeli e amministrano il culto che prevede sacrifici. Sull'altare i doni offerti alla collera del dio: stato sociale, commons, diritti dei lavoratori, qualità della vita. Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, dicono, non possiamo fare a meno di espiare.
Queste sono le immagini che Rivolta o barbarie stimola nel lettore. Un'analisi e un racconto articolati della crisi che mettono insieme cause economiche, politiche e culturali ricostruendo un quadro generale, la cui presunta complessità gioca tutta a favore dei responsabili. Coloro che hanno creato il disastro economico e lo hanno nutrito sono gli stessi che oggi offrono la cura. Stesse formule, stessi principi, stessi destinazione: rafforzare i modelli di governance neoliberista. Intorno alla scena del delitto un sistema politico privo di armi di difesa, assoggettato ai tristi diktat delle banche centrali e al principio esiziale dell'austerity.
In Rivolta o barbarie, Francesco Raparelli ricorre a Nietzsche, Spinoza e i principi dell'analisi economica marxiana per restituire alla crisi il profilo di un percorso economico e politico cominciato in Europa nei primi anni novanta. Riallaccia il dramma della Grecia e l'instabilità dell'Unione Europea alle degenerazioni del mercato finanziario americano, ai titoli spazzatura o junk bond, allo squilibrio di potere sul quale si fonda la Ue, a partire dal Trattato di Maastricht.
Non c'è dietrologia in Rivolta o barbarie ma la coscienza che, movimenti a parte, nessuno ha saputo o voluto opporsi ai pericoli insiti nel dominio del pensiero unico neoliberista che oggi rappresenta l'economia tout court. C'è una consapevolezza di fondo nel discorso di Raparelli: lo shock della crisi offre al capitale la possibilità di una nuova accumulazione originaria. E questa si realizza nei modi selvaggi e violenti già indicati da Marx, con privatizzazioni ed espropriazioni dei diritti. Il precariato è l'immenso fronte di nuovi poveri, destinato a coalizzarsi nella speranza di costruire una resistenza attiva. "E ci vuole fiducia e, aggiungo, molto amore - scrive l'autore - affinché la coalizione sia possibile, perché la comune condizione di povertà venga riconosciuta e trasformata da iattura in occasione rivoluzionaria. Nessuna illusione sulle capacità della socialdemocrazia europea di riuscire ad affrontare il problema".
Rivolta o barbarie è un libro completo e lacunoso, scrive Paolo Virno nell'introduzione. Completo perché non trascura nulla di essenziale alla comprensione di quanto ci sta accadendo intorno. Lacunoso perché non ha l'ansia di rispondere a tutto, a tutti i costi. Offre un punto di vista militante sugli eventi degli ultimi vent'anni e propone un'ipotesi (radicale) di lavoro per il futuro prossimo.
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Francesco Raparelli, Rivolta o barbarie. La democrazia del 99 per cento contro i signori della moneta, Ponte Alle Grazie, p 224, 10 euro
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