La commedia dedicata da Virginia Woolf al grande folle della letteratura arriva nelle scene italiane, per la regia di Emanuela Giordano. Un tentativo di conferire sfumature quasi goldoniane al testo della scrittrice che, nonostante l'ottima prova d'attrice di Isabella Ragonese, non riesce a scaldare la platea
di Sergio Buttiglieri
Foto di Luca Lovino
Sarà che il ricordo del raffinato film Orlando di Sally Potter con una straordinaria Tilda Swinton a distanza di tanti anni è ancora vivido, sarà che le atmosfere goldoniane sul testo della Woolf non ce le vedo, ma questa Commedia di Orlando di Emanuela Giordano, con la seppur brava Isabella Ragonese non ha convinto me come, mi pare, nemmeno il resto della platea a giudicare dagli applausi tiepidi al termine della Prima Nazionale al Teatro del Giglio di Lucca.
I temi partoriti dalla mente di Virginia Woolf, supportati da una cifra stilistica colma di invenzioni e di inesauribile fantasia, potevano essere fonte di rapimento estetico oltre che di risvolti etici: ma l’androginia di questo Orlando, anziché trasmetterci la sua capacità di stravolgere le apparenze, di modificare quello che riteniamo immutabile, ci mostra una Mirandolina caparbiamente divertente, ma assai lontana dalle atmosfere che ci immaginavamo racchiuse dal testo della più importante scrittrice inglese del secolo scorso.
Quella che ha saputo scardinare le convenzioni di una società maschilista che non poteva certo concepire “una stanza tutta per sé” per le donne, come invece la Woolf seppe regalarci non solo con l’arma dell’invettiva ma anche e soprattutto con la trovata inattesa. Di inatteso in questo spettacolo c’è invece ben poco. A parte una suggestiva scenografia di Giovanni Licheri e Alida Cappellini, dai fondali carichi di colore, alla Bob Wilson (ci suonano dal vivo due musicisti, incomprensibilmente appaiati ad una colonna sonora preregistrata...) in cui transitano velieri, rivelatori dei viaggi dell’anima dell'autrice.
Tra totemiche montagne di valigie, fascinose silouette di Costantinopoli prima e di Londra poi, la regia ci ha mostrato un Orlando alle prese con uomini insulsi, come il sig. Green, o il sig. Marmaduc, resi qui un po' troppo da commedia dell’arte. “Avete paura che mi perda?” chiede Orlando alla sua assistente Griselda, “Sì nei vostri sogni” le risponde lei prontamente.
Nella vita di Orlando ogni sentimento estremo è legato alla follia, come recita la Woolf, ma nello spettacolo questa follia è troppo parodistica per coinvolgerci, e non saranno di certo “i canti di una notte senza luna”, che ad un certo punto ci recitano gli attori, quelli che ci rapiranno. Orlando fradicio, innamorato pazzo non corrisposto di Sasha - che si domanda perché vivere, se tutto ciò che resta di noi è un osso? - è un Orlando che ritroverà nel morbo della scrittura la sua via.
Ma è un virus pericoloso quello che dovrebbe pervaderlo, un agente patogeno che si può trasformare in un desiderio d’immortalità. Di tutto ciò ci arriva poco, forse perchè “il filo della memoria si sfilaccia nella trama” come più volte ci ricordano quelli che “sembrano la truppa di un esercito fantasma”. Gli uomini che ronzano attorno a Orlando sono uomini che rimangono svegli dal troppo silenzio di Londra o che, a Costantinopoli, rivendicano - con un imbarazzante linguaggio da cinepanettone - la superiorità della loro memoria millenaria rispetto ai monumenti londinesi vecchi di soli 400 anni.
E anche se il messaggio è purtroppo sempre attuale (“non è lontano il giorno in cui le donne saranno considerate uguali agli uomini”) a teatro, declamato in questo modo resta tristemente inefficace, con un sapore di stereotipata riunione femminista anni ‘70. Ogni cosa è sempre qualcosa d’altro, ci ricorda Virginia Woolf; e la Ragonese a fine recita, innamorata della vita come Orlando, felice di aver partorito due figlie e un bellissimo libro che a breve darà alle stampe, tenta di trasmetterci tutto questo. Ma a teatro conta anche la forma in cui lo si fa percepire: la Woolf era capace, con la sua metamorfica scrittura, di comunicarci la ferocia della sua condizione: “chi può misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando questo si trova prigioniero (...) nel corpo di una donna?”. Una Woolf che ci aveva svelato come l’androginia fosse in definitiva la vera fondamentale condizione dell’artista. Unico strumento possibile per dare ali alla potenza dell’immaginazione transustanziata nell’atto creativo. Un tormento scardinante non pervenuto, per colpa anche di una debole regia.
Ultima nota su Isabella Ragonese, una delle più interessanti attrici del nuovo cinema italiano, una che finora non si è fatta macinare dal cinema scialpo tanto presente nelle nostre sale: ed è per questo che la vorremmo in scena in situazioni più energiche e dense di emozioni, magari abbandonando il fastidioso microfono impostole dalla regia, che appiattisce la recitazione teatrale di tante recenti produzioni, come purtroppo è avvenuto anche qui. Senza infamia e senza lode.
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Commedia di Orlando, di Virginia Woolf, regia di Emanuela Giordano
Tournèe: Teatro Massimo di Cagliari (11 - 15 gennaio),Teatro Ambasciatori di Catania (17 - 22 gennaio), Teatro del Rinnovati di Siena (3 - 5 febbraio), Teatro Vittorio Emanuele di Messina (8- 12 febbraio), Pergola di Firenze (21 - 26 febbraio), Manzoni di Milano (6 - 25 marzo), Teatro Donizetti di Bergamo (28 - 31 marzo), Teatro Nuovo Giovanni di Udine (10 - 15 aprile), il Diana di Napoli (18 - 29 aprile),Teatro Argentina di Roma (4 - 20 maggio).
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