Appena annuciate tre nuove date che il prossimo ottobre li riporteranno in Italia, torniamo sull'ultima fatica della band americana che più di tutte si diverte a smontare e rimontare il folk-rock. Dopo due precedessori forse anche troppo "perfettini", The Whole Love riscopre il gusto dell'imprevisto e dell'inaspettato
di Marco Montanaro
La perfezione è a volte terribile, molto spesso sospetta. I Wilco: un gruppo che ha passato più di metà carriera a smontare e poi rimontare il folk americano. Dunque ben al riparo dalla perfezione, col frontman Jeff Tweedy che preso a lottare col cliché (nel suo caso infondato) del rocker maledetto e intanto spezzettava la forma canzone e quello che solitamente chiamiamo melodia attingendo al noise, all’elettronica tedesca e in generale a tutta la storia del rock.
Così, dopo i capolavori dell’inesattezza e della destruttuazione Yankee Hotel Foxtrot (che ha da poco compiuto i suoi primi dieci anni) e A ghost is born, arrivano Sky blue sky e il disco omonimo. Il gruppo si ricompatta attorno a Tweedy, gli album sono più lineari e la melodia si ricompone pian piano. I Wilco fondano un’etichetta tutta loro, la dBpm, fanno il giro del mondo in tour e hanno un sound potente capace di replicare alla perfezione quello su disco. Ed ecco il sospetto: che i nostri siano divenuti perfetti, prossimi dinosauri del rock. Un marchio da esportare in giro per il mondo (tant’è che noi italiani non dovremmo neppure metterci l’articolo davanti: i Wilco, sono, semplicemente, Wilco).
Poi arriva The whole love, album del 2012. Come per altre band, un motivo per rimettersi in marcia verso il mondo, in tour, come dev’essere nell’epoca in cui la tecnologia mischia le carte del mercato discografico. Ma The whole love comincia con un manifesto, Art of almost, in bilico tra l’elettronica che viene dritta da Oxford e il dub caraibico, che poi si spezza e lascia che le chitarre si inseguano come piace a Tweedy e al suo folle chitarrista Nels Cline. Ed è lì che ritrovi – subito – il gusto dei Wilco per l’inesattezza. Un po’ più pulita e sotto controllo, forse. Ma che tiene pur sempre lontani dalla logica della perfezione.
Il disco scivola, in parte come i due precedenti della rinascita, con una potenza che allontana i Wilco dai paesaggi americani prima solo evocati al buio, e che qui invece si colorano di diversi colori – fatti, per dirla con Lou Reed, pur sempre di lacrime; la potentissima I might rilancia il disco verso sonorità rock, Dawned on me ha chitarre fabbricate e disegnate direttamente da Cline Tweedy; Black moon è folk d’autore – nel quale si è pure specializzato nel frattempo Jeff Tweedy – e poi c’è Born alone: per la verità Born to die alone, in cui il frontman dice una cosa che non ti aspetti, non in questo disco almeno, ma che pure detta da lui risulta (ancora, sempre) credibile: “Sadness is my luxury”. E così il punto è proprio questo: Jeff Tweedy, spirito poetico nel senso letterario del termine, ha conosciuto il dolore e oggi è ancora in grado di restituirci anche la luce di chi in qualche modo si è ricomposto. In modo autentico, e a sue spese.
Così Open mind è una preghiera, Capitol city uno scherzo, e l’ultima One sunday morning (Song for Jane Smiley’s boyfriend) un’opera narrativa di dodici minuti che non si pone, non solo per questioni di lunghezza, il problema di dover essere sperimentale (per quello c’è la bellissima Speak into the rose, contenuta solo nell’edizione deluxe del disco).
E dunque, la perfezione è sospetta: sappiamo tutti come funziona. Accantonati i propri demoni, molti artisti – ma anche questa è potenziale retorica – ripetono sempre la solita canzone, si inceppano e vendono dischi uguali l’uno con l’altro. Per i Wilco è diverso: ogni canzone è un potenziale classico (folk, rock, noise, ce n’è per tutti). E non è perfetta: è completa. Se hai passato più di metà della tua carriera a destrutturare, devi poi imparare a ricostruire. Questo hanno fatto i Wilco, questo ha fatto finora soprattutto Jeff Tweedy: per cui le sue melodie, destrutturate fino a qualche anno fa, hanno adesso un equilibrio fragile, ma autentico. E perciò dureranno. Si può arrivare a fare poesia anche con un po’ di serenità addosso, se si ha memoria, e cura, dei propri fantasmi.
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Wilco, The Whole Love, dBpm 2012
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