Nasce Roberto Concina, in Svizzera ma da famiglia friulana. Dopo i primi successi nella dance, cambia genere e pure paese (Inghilterra). In attesa del suo nuovo disco in uscita, TH1RT3EN, dove collabora con Robert Fripp, abbiamo incontrato il dj che si definisce "cittadino del mondo": ecco la prima parte dell'intervista
di Dario De Marco
È italianissimo, ma famoso in tutto il mondo con il nome di Robert Miles. Fa il dj, ma suona (e compone) al pianoforte. Ha venduto milioni di copie con album di musica “commerciale”, ma ora ha una etichetta indipendente e incide dischi in cui suonano i musicisti più raffinati della scena alternativa. Il 7 febbraio esce il suo nuovo cd, TH1RTH3EN: abbiamo avuto l'opportunità di ascoltarlo in anteprima. È uno splendido disco strumentale, in cui elettronica e strumenti “veri” sono così perfettamente amalgamati che non si riesce a distinguere la provenienza dei suoni: ed è un bene, perché così ci si può abbandonare felicemente al flusso della musica senza farsi tante domande.
Rispetto al precedente, uscito a doppia firma con il percussionista indiano Trilok Gurtu (2004), è meno etno-jazz e più spostato verso sonorità nettamente rock dove la chitarra elettrica spadroneggia: si sente la mano di un altro mostro sacro, Robert Fripp, ospite in tre pezzi, ma anche degli ottimi musicisti “residenti”.
Abbiamo poi avuto l'opportunità di conoscere, anche se a distanza, Roberto: è un ragazzo assai simpatico e spiritoso, che tra una serata a Ibiza, una registrazione a Londra e un remix a New York, ha anche trovato il modo di rispondere alle nostre domande. Ecco l'intervista che ne è venuta fuori, attraverso la quale ripercorriamo un po' la sua storia (è divisa in due rate, oggi la prima, la settimana prossima il seguito!)
Partiamo dall'inizio. A che età hai iniziato a suonare il pianoforte? Prendevi lezioni di musica classica o altro? E quando hai iniziato a suonare “per conto tuo”?
Ho iniziato a 13 anni: sì, prendevo lezioni di musica classica principalmente. Dopo pochi anni ho lasciato gli studi classici per dedicarmi alla musica elettronica: il mio maestro all'epoca non fu molto felice della scelta. L'ho sentito proprio pochi mesi fa, dopo nessun contatto con lui per più o meno una quindicina d'anni, ed è stato simpatico sentirsi dire: “Eri l'alunno più difficile, ma avevo capito subito che avevi talento”. Effettivamente non ero una cima in teoria, non m’interessava, avevo voglia di fare musica, non solfeggio. Comunque grazie ai suoi insegnamenti riuscii a creare le mie prime composizioni.
Più tardi ma non molto hai iniziato a fare il dj nella tua zona, il Friuli. A cavallo tra anni '80 e '90 stavano nascendo nuovi generi variamente nominati (underground, progressive, trance...). Tu che facevi? E quando invece eri a casa che musica ascoltavi?
Iniziai a suonare come dj in alcuni club locali dove prendevo 30mila lire a serata: 7 ore di filato, da solo, senza interruzioni, e dovevo anche prendermi cura degli effetti luce mentre suonavo! La musica spaziava dal down tempo, al funky e disco anni '70, per finire la serata, quando tutti avevano oltrepassato la soglia della sobrietà, con cose più tendenti al rock.
Nello stesso periodo feci amicizia con un ragazzo che mi invitò, in varie sedute, ad ascoltare della musica a casa sua e feci conoscenza con la musica dei Pink Floyd, Robert Fripp e i King Crimson, Kluster, Stockhausen, Terry Riley, Can, Brian Eno, David Sylvian, Bill Laswell.
Nel ’88 alcuni amici mi portarono, per la prima volta, ad una festa a Jesolo dove suonavano della musica che non avevo mai sentito prima: acid-house. Mi ricordo che ne fui attratto immediatamente e che il giorno dopo andai a comprare una valigia di dischi, all’epoca solo in vinile, fra i quali Aphex Twin e 808 State… ed iniziai ad ascoltarli ripetutamente giorno dopo giorno.
Poco dopo arrivarono sulla scena elettronica i Future Sound of London, e mi “aprirono la mente”, in tutti i sensi. Iniziai a frequentare locali come il Movida e il Gilda di Jesolo e a lavorare in una radio privata locale dove mi era stato concesso di suonare ciò che volevo. Mi misi subito all’opera e iniziai a programmare musica elettronica tutto il giorno. In pochi mesi gli indici d’ascolto aumentarono e la radio si espanse anche in Veneto.
Questa mossa mi permise di fare ascoltare le mie selezioni musicali, all’epoca principalmente techno e deep house, ai promoter dei locali più underground e, con l’aiuto di alcuni amici dj che gia’ operavano in quei club, iniziai a suonare al Gilda di Jesolo, all’Area City di Venezia, al Gatto e la Volpe di Ferrara, all’Alter Ego di Verona e a molteplici after-hour in giro per il Nord Italia.
Veniamo allo pseudonimo. Quando è che Roberto Concina diventa Robert Miles, e come mai? Sbaglio o c'è stato anche un passaggio intermedio per Roberto Milani?
Concina diventò Milani verso l’inizio degli anni '90. Non mi ricordo di preciso perché scelsi Milani, forse perché era facile da ricordare. Produssi tre dischi sotto questo nome, dopodiché decisi di cambiare il nome da Milani a Miles perché alcuni altri dj italiani iniziarono a uscire sotto lo stesso nome. Contemporaneamente iniziai a ricevere recensioni positive in Inghilterra, Germania e in Belgio. Fu allora che pensai: “Non sarebbe male suonare a Londra o a Berlino nei locali che stanno facendo la storia della musica elettronica…” e mi venne l’idea di usare Miles come nome d’arte. Mi piaceva il suono e il significato della parola, come per dire che avrei dovuto fare tanta strada per arrivare alla meta.
Guardando indietro penso che fu una buona scelta in quanto molti, fuori dai nostri confini, pensavano che ero di origine inglese e, come ben sappiamo, è molto più facile entrare a far parte della scena musicale anglosassone con un nome che suona inglese piuttosto che italiano, francese o tedesco.
Nel pezzo che avevo scritto qualche mese fa, ti ho definito “cervello in fuga”: un po' me la sono inventata, ma corrisponde alla realtà?
Effettivamente sì, sono “fuggito”, poco dopo l'uscita di Children (il singolo del 1996 con cui fece il botto, vendendo 5 milioni di copie in tutto il mondo, vedi qui sotto; l'album Dreamland, che sarà poi considerato il capostipite del sottogenere dream trance, arriverà a 14 milioni; Ndr).
Non appena ho visto che il singolo stava prendendo piede in Inghilterra, ho affittato un veicolo per trasportare il mio modesto studio e le mie poche cose personali, e senza avere la più pallida idea di che cosa mi stava aspettando e praticamente nessuna conoscenza della lingua inglese, intrapresi la via di Londra con un’attitudine di speranza e ottimismo.
Durante i primi anni di esperienza fatta in Italia mi accorsi subito che non sarei riuscito a vivere facendo musica per via dello stato di degrado e corruzione che regnava nell’industria musicale. Era difficile trovare persone affidabili e professionali: il piu’ delle volte ti firmavano un progetto, ti davano come anticipo poche decine di migliaia di lire, più o meno l'equivalente di 200 euro di oggi, e non era mai possibile quantificare le vendite in quanto o non si facevano piu’ sentire o sparivano dalla circolazione…(non facciamo nomi!).
Dall'ultimo album con una major (appena il secondo: 23AM del 1997) al primo autoprodotto (Organik) passano ben quattro anni di beghe legali e purgatorio discografico. Che facevi nel frattempo?
Prima mi spostai a Ibiza, nell’estate del ’99, dove composi Organik, poi a Los Angeles dove lavorai a vari progetti per colonne sonore e pubblilcità: The Bourne Identity, City of Ghosts, Derrida, Gucci, Jaguar, Adidas, Playstation…
Nel frattempo alcuni legali di Milano mi aiutarono ad uscire dal contratto discografico al quale ero vincolato. Una volta riaquistata la liberta’ artistica, nel 2001, aprii la mia etichetta S:alt Records (Suitably:alternative) e una casa di edizioni, Hardmonic Music, a Londra e feci uscire Organik.
Oggi qual è il tuo rapporto con l'Italia? Per esempio noto che il tuo sito è solo in inglese. Ti senti cervello felicemente fuggito, o più cittadino del mondo e basta?
Mi sento più cittadino del mondo, ma il cuore è senza nessun dubbio italiano. Sono nato in Svizzera, trasferito in Italia a 9 anni, poi a Londra a 26 e negli ultimi dieci anni ho vissuto fra Los Angeles, Berlino e Ibiza. Ho avuto la fortuna di viaggiare in quasi tutti i paesi del mondo e mi è difficile identificare dove mi sento più “a casa”. Forse proprio a Ibiza… e’ un’isola magica, molti la conoscono solo per le discoteche e la vita notturna, ma c’è molto di più da scoprire. E' facile fare musica qui, sarà l'aria pulita e il cibo biologico?
Il mio sito e’ solo in inglese perché è la lingua più diffusa e pratica del pianeta. Non capisco perché in Italia c’è questa reazione al fatto che non scrivo in italiano, fatto comunque infondato in quanto rispondo sempre in italiano agli amici dello stivale! Non è forse tempo di parlare tutti una stessa lingua su questo puntino nell’universo in cui tutti noi viviamo - pur ovviamente con un occhio alle realtà locali in modo da non perdere le varie culture? Guardiamo avanti: il futuro e’ globale, non individuale.
(segue)
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Intervista a Robert Miles / 1
Sito ufficiale: www.robert-miles.com
La seconda parte dell'intervista
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