MUSICA
Non ci sono più le stagioni: mappa sonora del 2010
di Massimo Balducci
Non è più tempo di tormentoni da spiaggia e Festivalbar: i dischi dell'estate sono quelli di tutto l'anno. In questo pezzo alla scoperta degli artisit i più sconosciuti, folli e nostalgici si parla di: Carlo Pastore, Arcade Fire, M.I.A., Dente e Il Genio, Brunori Sas, Julian Lynch, Villagers e Conor O’Brien, Darwin Deez (il migliore)
(Illustrazione di Daniela Tieni)
Qualcuno di voi si ricorda i “tormentoni estivi” dell’estate 2009? O di quella precedente? Io credo di no. Forse l’ultimo, vero successone di tale tipo risale a Seven Nation Army: ovvero il famigerato “Po-po-po-po-po-pooo-pooo” che diventò l’inno non ufficiale dell’Italia campione del mondo 2006. Ma era un caso particolare, appunto, c’erano di mezzo i mondiali ed il loro esito inaspettato.
(Illustrazione di Daniela Tieni)
Qualcuno di voi si ricorda i “tormentoni estivi” dell’estate 2009? O di quella precedente? Io credo di no. Forse l’ultimo, vero successone di tale tipo risale a Seven Nation Army: ovvero il famigerato “Po-po-po-po-po-pooo-pooo” che diventò l’inno non ufficiale dell’Italia campione del mondo 2006. Ma era un caso particolare, appunto, c’erano di mezzo i mondiali ed il loro esito inaspettato.
In realtà i concetti gemelli di “tormentone estivo” e di “disco per l’estate” sono ormai obsoleti, restando legati all’immaginario della Prima Repubblica. In particolare, all’Italia del boom economico: e non a caso, le sue due manifestazioni simbolo - Un disco per l’estate, appunto, e il “Festivalbar” - nacquero entrambe nel 1964. Per esaurirsi poi, al termine di un lunghissimo declino, rispettivamente nel 2003 e nel 2007.
Se qualche tormentone ancora riesce ad imporsi - come ad esempio, di questi tempi, Bad Romance di Lady Gaga - ha comunque perso ogni connotato stagionale: lo si ascolta in estate come lo si è già sopportato in primavera, in inverno e in autunno. La mitologica “estate” è diventata una stagione come le altre; con l’unica differenza che il finale di stagione, e l’inizio delle vacanze, rappresentano un’ottima occasione per fare bilanci e recuperare ciò che era sfuggito nei mesi precedenti.
E’ in questo senso, dunque, che intenderemo i nostri “dischi per l’estate” 2010. O forse, più modestamente, dovrei dire i miei: perché l’iperframmentazione dei gusti musicali, ormai, si è estesa al punto che consigliare qualsiasi cosa a chiunque è quasi un gesto di arroganza. Quello che posso fare io è cercare di abbozzare una mappa sonora di questa estate 2010, riassumendo nelle righe che seguono i suoi episodi più importanti, o più originali, o più divertenti. A voi resterà invece il compito di verificare, selezionare, e magari partire da questi nomi per scoprirne altri. Mica posso fare tutto io, oh: del resto, non lo sapete che questa è l’epoca del do it yourself?
E a proposito di “do it yourself”, direi di cominciare - tanto per metterci di buonumore - con l’ascolto di questo bel videoclip. Si intitola Siamese Smile ed è il primo singolo degli Wemen: della cui esistenza per la verità nessuno si sarebbe accorto, se non fosse che il loro cantante si chiama nientemeno che Carlo Pastore; ovvero il personaggio che, nell’immaginario mediatico italiano, incarna forse più di ogni altro lo stereotipo dei “giovani d’oggi”. Ascoltateli dunque i “giovani d’oggi”, e ridetene a volontà: dopotutto, se ancora esiste uno Zeitgeist in questi nostri tempi così anacronistici, questa roba vi si avvicina molto.
Il disco in assoluto più atteso dell’anno, invece, uscirà tra pochi giorni: è The Suburbs degli Arcade Fire, una band che (già sul Giudizio Universale cartaceo) abbiamo coccolato fin dall’esordio di cinque anni fa. Nel frattempo sono diventati grandi, in svariati sensi, ed il cantante Win Butler si è imposto senza dubbio come una delle principali personalità del mainstrindie contemporaneo. Gli Arcade Fire sono forse l’unica band che in questi anni è riuscita ad essere epica, tragica, e fortemente emozionale senza cadere nei luoghi comuni del rock (o peggio, nel ridicolo); e di questo gli va tuttora reso merito. C’è un solo problema: The Suburbs, fra i tre dischi degli Arcade Fire, è di gran lunga il peggiore; magari non del tutto disprezzabile, ed ammirevolmente poco ruffiano, ma decisamente meno ispirato degli altri. Varrà la pena ugualmente di ascoltarlo per un po’, quindi diciamo che tra i dischi dell’estate 2010 non sfigura: ma poi lo dimenticheremo senza pietà, per ritornare ai loro classici Funeral e Neon Bible.
Restando nella zona di dischi attesissimi e recentissimi, è appena uscito anche il terzo album di M.I.A.: che si intitola Maya, o per la precisione “/\/\/\Y/\” (valli a capire, sti artisti). Comunque lei è un caso pressoché unico nella musica dell’ultimo decennio: originaria dello Sri Lanka, figlia di un guerrigliero Tamil, rifugiata a Londra dall’età di dieci anni, ha esordito nel 2005 con un disco che fece godere smisuratamente gli appassionati di terzomondismo musicale. Arular e il successivo Kala sono stati infatti i modelli del sound “urbano” - eufemismo riferito ai ghetti poveri e/o violenti di ogni metropoli ad ogni angolo del pianeta - degli anni zero: attraversando spregiudicatamente generi come l’hip-hop, l’elettronica e (quella che una volta si chiamava) la world music, e caricandoli di un attivismo politico talmente smaccato da sembrare sospetto. Fatto sta che M.I.A. ha fatto il botto nel 2008, quando la sua Paper planes è stata inclusa nel blockbuster The Millionaire di Danny Boyle; diventando così famosa che il Time l’ha poi inserita tra i 100 personaggi più influenti del mondo. Lei sì, e Berlusconi no. Eh.
In effetti, lo stesso fatto che M.I.A. in Italia sia semisconosciuta ci dà la misura di quanto il nostro paese - in campo musicale come in altri - vada avanti, diciamo, ad altre velocità. Poi chissà, forse siamo noi che abbiamo capito tutto: ma cosa abbiamo da offrire in campo musicale, che non siano i vari Ligabue o Biagio Antonacci? In questa estate 2010, si direbbe per la verità assai poco. I dischi più chiacchierati degli ultimi tempi sono stati opera dei soliti Baustelle e dei più freschi Amor Fou: esponenti principali (assieme ai veterani Afterhours) di un filone intellettual-poetico che, a dire la verità, rischia sempre di più di scivolare nell’autoparodia. Non so se tutto questo abbia a che fare con il gossip extramusicale secondo cui Manuel Agnelli ha iniziato a tingersi i capelli: ma fosse vero, direi che sarebbe la chiosa perfetta su questa generazione di profeti postcantautoriali che si sono sempre presi - o meglio, che tutti noi abbiamo sempre preso - di gran lunga troppo sul serio.
Per un giusto contrappasso, gli artisti più geniali fra le nuove leve suggeriscono un possibile trionfo della parodia e dell’autoironia - che sono il comune denominatore di nomi ancora sconosciuti come Camillas, Dino Fumaretto, Iosonouncane, Musica per bambini. Peccato che nessuno di costoro abbia fatto ancora un disco degno di questo nome, e dunque nemmeno tra loro possiamo trovare il nostro disco per l’estate italiano. In realtà il tentativo di un singolo - per una volta - chiaramente “estivo” c’è stato: il duetto estemporaneo tra Dente e Il Genio, che si intitola Precipitevolissimevolmente e si può ascoltare/guardare su Youtube. Il pezzo è in realtà una cover di Bruno Martino, che all’epoca (anni ‘60) forse sarà anche stato un esempio di “rottura con la tradizione” - come lo presenta la casa discografica - ma che sentito oggi è un rifiuto organico bello e buono. Speriamo che Dente si sia prestato a questa pagliacciata solo per farsi due risate, anche se l’uscita in un 45 giri dal titolo Il Lato Beat Vol.1 farebbe piuttosto pensare ad un’operazione con ambizioni artistiche. O più probabilmente, ad un colpo di sole.
E allora, se proprio devo scegliere il disco italiano dell’estate 2010, dico quello di Brunori Sas: un ragazzo di Cosenza la cui voce ricorda fin troppo (per i miei gusti) quella di Rino Gaetano, ed il suo stile è fin troppo (per i miei gusti) marpionescamente disimpegnato. Però insomma, non cercavamo un disco per l’estate? Questo è perfetto. L’attitudine di Brunori Sas si può definire post-adolescenziale, nel senso che racconta storie adolescenziali però con il filtro ironico di chi l’adolescenza l’ha superata da un pezzo: quindi offre ritornelli da chitarra sulla spiaggia, ma senza che a cantarli ci si senta troppo idioti. C’è solo un piccolo particolare. Il suo disco, Vol.1, è uscito nel giugno 2009, dunque teoricamente sarebbe dovuto essere il disco dell’estate 2009. Che volete che vi dica? Pazienza, non si può avere tutto: io la prima volta Brunori Sas l’ho sentito in autunno, e voi ancora non sapete chi sia, quindi ascoltatelo adesso.
E con Brunori Sas, credo, abbiamo esaurito anche l’unico elemento che abbia anche una certa peculiarità estiva. Almeno se intendiamo l’estate in senso tradizionale. Va detto però che dagli Usa, nell’ultimo paio d’anni, sta arrivando un’invasione di musica ultrapsichedelica che basa il proprio immaginario proprio sulle memorie allucinate di lontane vacanze estive: a differenza di Brunori Sas però, che è un simpatico cazzone, qui si parte da un filone di musica decisamente più sperimentale ed originale (che è stato definito “Hypnagogic Pop”). La rielaborazione dei ricordi infantili prende la forma di melodie distese e solari che vengono stravolte di riverberi e distorsioni, finendo generalmente col diventare una massa informe di suoni a bassissima fedeltà. Nell’era del post-everything, questo trend hypnagogico mi pare l’unica possibilità plausibile di un “disco per l’estate” che non si riduca alla riproposizione di stracchi luoghi comuni: un “post-discoperlestate”. Fra gli esempi più famosi del genere, potrei citare parecchi casi già ampiamente scottati da un eccesso di hype modaiolo: a cominciare da King Of the Beach di Wavves, e Crazy for You di Best Coast; nei quali già dai titoli, come nei coretti e nei ritornelli, viene esibita una californianità estiva destinata al massacro lisergico. C’è da dire comunque che il confine tra l’avanguardia e l’ombrellone è quanto mai labile, e questi due artisti giocano sempre lì sul filo della ruffianità.
Più raffinato è Mare di Julian Lynch, altro delirio spiaggesco, ma strumentale, rilassato e narcotico: l’effetto psicologico che si ricerca è quello di semi-incoscienza indotto dal sole quando picchia per ore senza pietà, fino a stordire il cervello. Una sorta di via naturale alle visioni tossiche, insomma. Del resto, la cifra comune di questi hypnagogici è proprio l’esplorazione di uno stato intermedio tra la realtà e l’immaginazione: che tradizionalmente si è associato all’uso di droghe, mentre qui ha più a che fare con le disfunzioni temporali indotte dalla memoria. L’estate non viene mai davvero vissuta, ma semmai ricordata, e magari ri-vissuta attraverso l’illusione del deja-vu.
Insomma sembra molto difficile, anche nei dischi per l’estate più innovativi, evitare di voltarsi indietro alle estati che furono. E questo è paradossale, per quella che dovrebbe essere più di ogni altra la stagione dell’here-and-now: cosa ricorderemo dunque, quando arriverà l’autunno? Avremo nostalgia della nostalgia? No, perché quest’estate ci saremo ascoltati a stufo anche Becoming a Jackal dei Villagers. O forse dovrei dire “il” Villagers, dato che si tratta praticamente di un progetto solista: Conor O’Brien, nome che più banalmente irlandese non si potrebbe, il cui esordio discografico rivela un’ottima classe da songwriter folk. Alla malinconia tipica del genere lui accompagna una spietatezza che dà vita ad uno strano equilibrio, facendolo svettare tra i fin troppo numerosi esempi di musica barbuta e boscaiola. Uscito senza alcun clamore, sfuggito anche alla critica in prima battuta, ha la caratteristica di piacere alla follia a tutti quelli che lo scoprono; e così, grazie al più classico dei passaparola, scommetterei che Villagers diventerà uno di quelli grossi. Per ora accompagna la nostra estate con alcuni buoni pezzi ed altri che fanno letteralmente sbavare, come la stessa Becoming a Jackal e The Meaning of the Ritual.
Se Villagers comunque lo si è in qualche modo notato, un altro dei miei favoriti estivi attende ancora che qualcuno tolga il suo disco dall’anonimato: Darwin Deez è il nome di una band di New York, capitanata da Darwin Deez, e che ha fatto un disco dal titolo Darwin Deez. Ecco, l’ho grassettato tre volte così ve lo ricordate e ve lo andate a cercare. Anzi, fate una bella cosa: cominciate con questo, perché è il disco per l’estate 2010 di maggiore impatto. E non dico solo tra quelli che può ascoltare un dannato snob come me, ma proprio in assoluto: davvero, non so dove stiano dormendo i dj che per mestiere dovrebbero proprio andare a scoprire i tizi come Darwin Deez. L’intero disco è orecchiabile, allegro, ironico, ritmato, e non ha un solo attimo di cedimento: inoltre, potrete anche prendervi il merito di averlo suggerito per primi ai vostri amici. Altro che la noia infinita da ex ragazzi imborghesiti di Radio Dj. Altro che The Drums o LCD Soundsystem: con le loro hit talmente perfette e studiate allo specchio, che non si capisce come faccia davvero qualcuno ad ascoltarle veramente - se non come sottofondo allo shopping da H&M.
Tags: afterhours, Amor Fou, Arcade Fire, baustelle, Best Coast, biagio antonacci, Brunori Sas, Camillas, Carlo Pastore, Conor O’Brien, Danny Boyle, Darwin Deez, Dente, Dino Fumaretto, estate, Hypnagogic Pop, Il Genio, Iosonouncane, Julian Lynch, lady gaga, LCD Soundsystem, Ligabue, M.I.A., manuel agnelli, Massimo Balducci, Musica per bambini, recensione, rino gaetano, The Drums, The Millionaire, Villagers, Wavves, wemen,
30 Luglio 2010
giudizio:
(6 voti)
Commenti
Ah, chiedo scusa, non avevo
Ah, chiedo scusa, non avevo letto questo commento. In compenso il commentatore non ha letto l'articolo.
post interessante ma, a mio
post interessante ma, a mio avviso, molto banale nelle conclusioni.
brunori, dente, il genio e i loro e-muli sono lo specchio dell'italia di oggi. disimpegno, furbizia, ruffianaggine e un totale disinteresse per l'idea di saper suonare tanto il pubblico dei cantautori da spiaggia se ne frega del suono, della scrittura e tutto il resto. conta sempre di piu' il faccino rassicurante.
all'estero, dietro agli arcade fire di turno, ci sono centinaia di super band, in italia se il meglio (o il meno peggio) è brunori siamo messi piu' o meno come la nazionale di calcio. In realtà chi sa suonare, scrivere ed ha un suono autorevole c'è, e fra questi metterei proprio gli amor fou che secondo me con gli after centrano come i cavoli a merenda. In ogni caso avercene di gente che scrive come Manuel Agnelli, il quale i capelli se li tinge da almeno dieci anni. Gente che fa pop colto e spacca lontano da qui ce n'è da secoli..noi stiamo ancora a farci le pippe sulla canzone troppo impegnata e il prendersi sul serio. pensi che thom yorke o jeff tweedy prendano poco sul serio la musica e il loro ruolo ? Li sfanculiamo solo per questo ?
prendi i testi dei pulp o dei blur...sono autoparodie anche quelle solo perchè albarn sorride poco ?O non lo sono perchè sono made in uk quindi fighe a prescindere ?
Attenzione a privilegiare il 'non prendersi sul serio' rispetto all'approccio piu' alto (o non sistematicamente basso)....forse in quel modo si producono tanti Fabio Volo e Checco Zalone ma molti meno Gian Maria Volontè e Battisti. E di sicuro uno come Win Butler lo vedo piu' vicino a Raina che a Brunori Sas. Io credo che in questo momento ci sia ben poco da ridere e molto su cui riflettere...molte cose da dire e da fare, se si hanno le palle e la cultura per farlo e la sensibilità per poterlo capire. Il disimpegno è una copertina di linus sempre pronta, bella forza.
il problema è che la musica in quanto prodotto/progetto da imparare ed elaborare ha perso appeal in luogo del dilettantismo travestito da attitudine 'easy'... chiunque può suonare, dire la sua, e pretendere la propria fettina di microvisibilità anche se non va oltre il giro di do e se ne vanta, guardacaso se spunta una band di gente che sa suonare decentemente un obbligato si grida al miracolo (vedi i calibro 35, band di turnisti elevata al ruolo dei nuovi medesky martin & wood !!!!) ma lo standard restano i dilettanti alla dente ed ecco che improvvisamente saper suonare, arrangiare, cantare diventa un optional, e nemmeno quello piu' importante. Tanto a farsi ignorare fuori dall'Italia questa gente non ci andrà mai, la pizza gli mancherebbe troppo.... Anche in questo siamo una naziona sottosviluppata e fiera di esserlo. L'autoparodia la vedo nel livello della cultura italiana (popolare e non) piu' che nei Baustelle e nei loro clichè vintage. L'autoparodia è la stampa musicale che paragona dente a battisti o gianluca de rubertis a gainsbourg.
Brunori una canzone come Alfredo o Bruci la città la deve ancora scrivere e probabilmente non la scriverà mai, anche perchè a 38 anni sta ancora a parlare di secchielli e palette davanti a un pubblico di migliaia di studenti fuoricorso a cui poco resta per consolarsi che ripensare alle peroni in spiaggia e alle canne in via zamboni e alle vittorie fuori casa del cosenza. Il massimo dell'avanguardia di questa gente è proprio aggirare il tabu' della griffe e comprare da h&m. E poi ci si stupisce se il cinema algerino o iraniano produce piu' qualità del nostro.
ps
Darwin è simpatico ma dilettantesco, di cose così nella scena boho hipster newyorkese ce ne sono davvero tantissime, e le cose che fa sono già piuttosto ammuffite anche in quel filone lì. Piuttosto i MGMT che abbinano strepitosamente roba spessissima e trashate di prima. de gustibus ovvio !
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