Il pianista polacco Leszek Możdżer rilegge a modo suo le note composizioni, come se fossero standard: rischio altissimo, riuscita ottima
di Federico Capitoni
In questo anno così celebrativo deve trovare necessariamente spazio anche la profanazione: Chopin è classico, Chopin è jazz, Chopin è rock. Se si ha gusto si può far diventare Chopin qualsiasi cosa. Viene finalmente distribuito in Italia Impressions on Chopin, un disco che risale al 1999 e che ha reso Leszek Możdżer famoso.
Di una fama che al nostro paese sembra sfuggire: non sono in tanti da noi a conoscere questo straordinario pianista polacco, classe 1971, in grado di mettere in discussione qualsiasi idea ci si sia fatti sulle star del pianismo totale: Brad Mehldau è colto ma spesso eccessivamente cerebrale; Stefano Bollani ha un orecchio e uno spirito formidabili, ma è un po’ prigioniero del suo personaggio; Uri Caine è grandioso ma fa parte di una generazione più in là con gli anni (così come Enrico Pieranunzi, nostro orgoglio nazionale).
Invece esiste Możdżer, genio polacco, in un primo momento promessa (mantenuta) del pianismo classico, ora eccezionale performer jazz. Dotato di gusto, tecnica e spirito, sembra essere la risposta a chiunque si chieda chi votare senza riserve nel panorama odierno come pianista “without frontiers”. I suoi riferimenti, pare, sono Chick Corea e Herbie Hancock, ma Leszek ha presto stabilito una sua personalità peculiare tale non farlo somigliare a nessun altro in circolazione.
Con coraggio qualche anno fa ha preso il repertorio di Chopin, che conosce – è il caso di dirlo - a menadito, è lo ha rivisto, o meglio riscoperto. Quello che Leszek fa con Preludi e Mazurke è qualcosa che è lo stesso Fryderyk a chiedere: e cioè una interpretazione di quello che le sue composizioni sono e una previsione di quello che sarebbero potute diventare. Il compositore polacco ha detto la sua e il pianista oggi replica a proprio modo: con lo swing. E così i Preludi diventano danze, le Mazurke pezzi meditativi, gli Studi possono acquistare il carattere dei notturni e a loro volta i Notturni quello rapsodico delle improvvisazioni jazz. Insomma Chopin si trasforma; muta dal punto di vista fenomenico mantenendo intatta la sua essenza musicale. Możdżer è il prisma rotante che ci permette nuove visioni, come se avessimo preso un acido e il nostro caro, amato, intoccabile mito romantico diventasse psichedelico: Chopin in Wonderland!
Se è vero che i pezzi di Chopin sono standard (e lo sono), allora un jazzista ha non solo il diritto, ma il dovere di far loro visita e di indossarli come meglio crede. È giusto che Chopin incontri il nuovo, lo merita. Proprio pochi giorni fa a Varsavia ha aperto lo Chopin Muzeum, un posto davvero cool, un luogo multimediale e interattivo che chiede di essere “profanato” e che insegna al visitatore a toccare con mano l’arte e la cultura consegnando così alla storia la nozione, ormai vecchia – quasi stantia, di museo. Allo stesso modo Chopin non è un monumento, tantomeno il suo repertorio un museo.
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