Fedele al titolo della sua ultima raccolta, Affari di cuore, il poeta Paolo Ruffili ispira i propri versi direttamente ai grandi cantori dello Stil Novo e racconta di relazioni sentimentali minacciate dal mondo esterno
di Giuseppe Grattacaso
Paolo Ruffilli ha costruito le sue ultime raccolte di versi (tra le quali vale la pena ricordare il notevole esito di La gioia e il lutto) intorno ad una forte idea centrale, un tema dal quale sviluppare le singole riflessioni. Accade lo stesso anche con Affari di cuore, il volume recentemente pubblicato per i tipi di Einaudi.
Attingendo alla lunga tradizione del canzoniere d'amore, con lo sguardo particolarmente puntato alle origini cortesi, stilnoviste e petrarchesche, Ruffilli manifesta fin dai primi versi una propria idea dell'atto amoroso, rivolto non verso una singola figura di donna, semmai idealizzata, ma considerato quale sentimento puro e durevole pur nelle sue molteplici manifestazioni e nei vorticosi e spesso contraddittori accadimenti. L'amore insomma se è tale non può essere circoscritto dentro esiti prevedibili e codificati, ma è scoperta continua, combinazione imprevedibile di bene e male, dialogo disarmonico e dissacrante tra spinta spirituale e vertigine erotica.
L'amore riesce a fornire una ragione alle nostre esistenze, attraverso la presenza della persona amata, che diventa obiettivo e fine delle nostre azioni, ma anche minaccia, trasalimento, composizione impossibile di felicità e disperazione. Nel cammino verso la persona desiderata cerchiamo la possibilità di riconoscerci nell'altro, di pervenire a un'impossibile conciliazione degli opposti: “E non volere / più niente d'altro, / se non essere te / dentro di te / nel cuore del tuo cuore, / diventato parte / del tuo stesso odore”.
L'amore ci sottrae dalla vita, e dunque difende l'amante dai violenti assalti della quotidianità. Sembra che nulla possa davvero far male, tranne l'amore stesso. Ma in effetti il mondo aspetta fuori dalla porta “benevolo e indulgente / con le nostre vite”, ma alla fine il gioco è smascherato, perché “il mondo vince sempre / tutte le partite”.
Gli esiti più felici della raccolta vanno trovati proprio in questa dialettica continua tra il rassicurante circolo chiuso in cui vive la coppia e l'inevitabile presenza del mondo, tra il bisogno di infinito che nell'amore sembra realizzarsi e la finitezza che ogni atto della vita porta inevitabilmente con sé (“l'idea di un infinito / perfino quotidiano, / lasciato in sorte / al corpo dell'amore”), tra la straniata condizione dell'innamoramento che ci fa prigionieri e il piacere di sentirci incatenati ed alienati.
Ne La traccia ad esempio, ripercorrere i tratti amati del corpo della donna sembra offrire una possibile via di scampo, una soluzione alla nostra fragilità. Ma si tratta di una traccia destinata a svanire: “Solo il dettaglio / nel farsi oggetto / e luogo circoscritto / ai nostri sensi, / rende presente / e non più astratto / né più evanescente / o spento e vano / l'istinto a opporre / al tempo un'immanenza / fingendosi un istante / eterno il mondo / prima che la traccia / slitti via / cadendo a fondo”.
Ruffilli privilegia un tono popolare, che sa comunque guardare alla tradizione letteraria della canzone e che introduce nella sequenza cantilenante del linguaggio quotidiano una serie di metafore, assorbite nell'evento e prontamente smascherate.
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Paolo Ruffilli, Affari di cuore, Einaudi 2012, p 140, 12 euro
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