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LIBRI - NARRATIVA

Il nostro Dove eravamo

Requisitoria generale sui comportamenti e sulle responsabilità degli italiani nel recentissimo passato. E' una tesi di laurea per il giovane protagonista Italo Tramontana e un romanzo per l'altrettanto giovane scrittore Paolo Di Paolo, intitolato appunto Dove eravate tutti. Un tentativo di 'autopsia' a corpo ancora caldo


di Matteo Di Gesù

 


D'accordo, sarà pure legittimo utilizzare il romanzo di Paolo Di Paolo, Dove eravate tutti per aggiornare il mortifero dibattito sull'inadeguatezza del romanzo italiano contemporaneo a raccontare i tempi che sono toccati in sorte alla nazione tutta (“vuole mettere gli americani, signora mia? Quelli sì che sono capaci”); sarà pur lecito squadernare il solito repertorio kulturcritiko-retorico fatto di risentimenti e scoraggiamenti, di idiosincrasie e malinconie (“ah, non ci sono più i romanzieri italiani di una volta, signora mia. E quanto ci mancano”!) avendo per le mani un romanzo che sfrontatamente vuole essere una diagnosi allegorica dell'era berlusconiana (una delle innumerevoli possibili e praticabili, naturalmente, e nondimeno programmaticamente una di esse).
 
Per carità, si faccia pure questo rituale esercizio di crudeltà esegetica (“che ci vorrebbe ben altro, signora mia”) – e quanto alle invettive da destra di chi accusa il libro di Di Paolo di antiberlusconismo militante senza nemmeno averlo letto, rimandiamo volentieri agli appassionanti dibattiti culturali promossi da Il Giornale. Tuttavia andrà altresì dichiarata tutta la nostra insofferenza per queste pose da eterni insoddisfatti che assume parte della critica di casa nostra a proposito della narrativa odierna, se si pensa che fino a qualche anno fa ciò che si denunciava era l'esatto opposto, ovvero la scarsa propensione degli scrittori italiani, specie dei trenta-quarantenni ad allargare lo sguardo oltre al proprio ombelico. Tanto più se queste accuse vengono mosse a un libro come quello di Di Paolo, il quale di anni ne ha per giunta ventotto.
 
Ci sono diverse buone ragioni, infatti, per ritenere piuttosto che Dove eravate tutti non solo è un documento prezioso per avviare una riflessione adeguata sul nostro passato appena prossimo e sulla generazione che lo ha attraversato diventando adulta, ma è anche un romanzo costruito in maniera impeccabile, sorretto da strategie narrative incisive, che riesce a dare corso alle proprie ambizioni. Basterebbe indugiare su quel titolo quanto mai efficace, per intuirlo, che implica una domanda secca come un capo di imputazione a tragedia ormai consumata (e tuttavia reticente, mancando un punto interrogativo finale) e insieme sembra voler prefigurare una anamnesi collettiva, formulata nel modo in cui fissiamo nel tempo e tramandiamo a noi stessi la memoria di un evento cruciale: conservando il fotogramma che ci consente di ricordare, appunto, “dove eravamo”.
 
paolodipaolo.jpgMa si diceva della costruzione e delle strategie. Un giovane uomo, Italo Tramontana (proprio così: Italo, quasi a voler fugare ogni dubbio a proposito delle summenzionate ambizioni), progetta di scrivere una tesi di laurea in storia contemporanea il cui oggetto di ricerca siano gli ultimi dieci anni di vita italiana. Pensa di farlo affastellando documenti, ritagli, testimonianze, fatti di costume, e, ciò che è più importante, decide di farlo avendo preso atto che la sua storia individuale, la sua “vita cosciente” fatta risalire ai suoi primi ricordi di bambino decenne, corrisponde esattamente a quell'epoca politica e civile del paese che dal penultimo presidente del consiglio ha preso il nome: “Da allora ogni cosa appare più chiara. Da allora ricordo tutto”. Per di più, questo tentativo di scrivere la “storia degli anni senza nome” coincide con un momento in cui il quadro familiare dentro al quale si era consumata la sua esistenza sembra incrinarsi irreparabilmente: il padre, insegnante neopensionato, vive una crisi personale, la madre casalinga abbandona all'improvviso l'accudimento domestico, la sorella minore è invaghita del bullo fighetto che molestava suo padre.
 
Questo intreccio essenziale, minimo, basta a un romanzo costruito per accumulo di materiali (molti sono inseriti nell'impaginato, dentro al testo), che tende a far virare verso una sorta di saggismo d'autore (siamo in prossimità dell'epistemologia della storia) l'andamento di questa breve e decisiva ricognizione civile e personale, nel quale funzionano con indubbia efficacia tutti i congegni retorici adottati: dall'autonarrazione in prima persona alle metafore eloquenti messe in campo (le boules con la finta neve e la vera neve su Roma che si tramuta in fango; il furgoncino del nonno che si ferma, insieme a lui, giusto nell'autunno del 1993). Così come l'epilogo, chiave di volta dell'architettura romanzesca: l'esito felice della ricerca di qualcosa di puro e originario, antecedente al fatidico momento della consapevolezza, di un “prima” che per una volta si rivela, nel presente, una promessa di futuro dai grandi occhi verdi.
 
Certo, si poteva auspicare meno indulgenza da parte di Italo verso il proprio padre (e da parte di Di Paolo verso i padri), ma si dovrà pur concedere all'autore che agli italiani, i quali parricidi non sono mai stati, come ricordava Umberto Saba, Enea e Anchise sono più congeniali di Edipo e Laio.



Tags: Berlusconi, dove eravate tutti, feltrinelli, Matteo Di Gesù, Paolo di Paolo, recensione, romanzo italiano,
16 Dicembre 2011

Oggetto recensito:

Paolo Di Paolo, Dove eravate tutti, Feltrinelli 2011, 219 p, 15 euro

 

giudizio:



9
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