Proteggere il territorio, conservare la nostre cultura. La partita per capire chi siamo oggi si gioca tutta in difesa: la critica Contro le radici di Maurizio Bettini parte dall'invenzione di culture nazionali e locali giocate anche in politica e propone un'appartenenza di tipo "orizzontale". Perché tradizionale è ciò che si tramanda
di Nicola Arrigoni
E’ un piccolo libro prezioso, che dovrebbe essere letto soprattutto da quanti si riempiono la bocca di identità, tradizioni, memoria. Si tratta di Contro le radici di Maurizio Bettini, pubblicato nella collana "Voci" della casa editrice Il Mulino. Maurizio Bettini, classicista apprezzato e di fama, si interroga sul senso della parola radici, sulla metafora che sottostà al termine come fondamento di un’appartenenza, sul significato di un albero genealogico come percorso che conferisce spessore storico ad una stirpe.
Ciò che fa Bettini è smontare, con intelligenza e con un linguaggio accessibile ma mai banale, i luoghi comuni di un senso di appartenenza ad escludendum che si gioca su invenzioni più o meno recenti, su luoghi comuni trasformati in verità indiscutibili ma assai confutabili. La tradizione può diventare un confine invalicabile, può essere motivo di esclusione, di impoverimento invece che di ricchezza. L’identità non è data per sempre: è una costruzione che solo la miopia culturale e un senso di ignoranza nei confronti dell’alterità si ostina a definire unica e soprattutto immutabile.
Maurizio Bettini mette a punto una lucida e stringente requisitoria contro i miti dell’identità che l’Italia dell’ultimo scorcio del XX secolo ha visto proliferare nello sviluppo politico e sociale della Lega Nord, un esempio preclaro di manipolazione della tradizione per difesa da ciò che è altro, un movimento che ha fatto delle parole "tradizione" e "identità" i vessili di un benessere e senso di appartenenza territoriali. Il ricco e laborioso Nord italiano contrapposto al corrotto, mafioso Centro Sud del Paese con Roma come babilonia e origine di tutti i mali.
E allora ecco che dietro ad ogni identità, dietro ad ogni tradizione non c’è nulla di definito, ma solo un’abile costruzione di senso che permette di definire la nostra posizione nel mondo e il nostro essere in rapporto o in contrapposizione con l’altro. Le tradizioni servono per distinguere, tracciare confini, definire un’appartenenza costruita a tavolino, inventata a volte di sana pianta. Ma per capire come la tradizione sia – in realtà - portatrice di movimento e il richiamarsi ad un sapere tradizionale come immutabile sia una contraddizione in termini basta rifarsi al significato etimologico della parola. In "tradizione" c’è l’idea di condurre attraverso, da qui la consegna di un sapere ad un’altra generazione, un passare attraverso, un consegnare per oltrepassare i tempi biologici dell’esistere con la consapevolezza che nell’atto stesso del consegnare c’è l’invito a far proprio un sapere e a mutarlo. Questa è la tradizione: un passaggio di consegne, la possibilità di eternarsi nel tramandare all’altro, a chi verrà dopo di noi ciò che siamo e siamo stati per aiutare a essere pienamente, malgrado ciò che ci ha preceduto o forse proprio grazie a ciò.
Non è un caso che nella sua requisitoria contro la banalizzazione che oggi si fa dei termini "tradizione", "memoria" e "identità", Maurizio Bettini si rifaccia all’invenzione della tradizione elaborata da Hobsbawn e Ranger: i due studiosi per primi hanno messo in evidenza come fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo i nuovi stati nazionali elaborarono tradizioni culturali che a fronte di un’origine antichissima erano in realtà rituali sincretici per dare senso di appartenenza alle nuove compagini nazionali, ai nuovi gruppi sociali. Ecco allora che Contro le radici invita a vedere in maniera diversa l’idea di appartenenza: non più in verticale ma in orizzontale. Scrive infatti il saggista: "Un’immagine orizzontale e parallela della tradizione potrebbe dunque educarci all’idea che essa non costituisce un viluppo verticale di radici – o una discesa da presunte sommità – quanto un insieme relativo e alternativo di modi di vita. La tradizione, infatti, non è qualcosa che viene dalla terra, che si mangia o si respira, e neppure qualcosa che discende verso di noi da determinate alture: essa è prima di tutto qualcosa che si costruisce e che si apprende. Senza un continuo lavoro di apprendimento qualsiasi tradizione si spegne in breve tempo".
In questo senso la tradizione è allora un passare attraverso, un consegnare all’altro, un perpetuare nel tempo un sapere e degli apprendimenti che mutano con il mutare dei destinatari, un sapere mai dato per definito ma che nel suo tramandarsi sa essere nuovo e antico al tempo stesso e quindi aperto all’alterità, al mutamento, alla reinvenzione della tradizione.
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Maurizio Bettini, Contro le Radici, Il Mulino, p 110, 10 euro
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