Visita al Museo di Antropologia Criminale di Torino, intitolato al celebre positivista
di Franco Milanesi
Brocche della collezione "Ceramiche criminali"
Il positivismo è stato oggetto in Italia di svariate accuse: ipertrofia razionalistica, riduzione della vita a calcolo, istinto manipolatorio. Curiosamente questi rilevi sono mossi in un paese che ha visto il predominio di tutte le possibili forme di metafisica, idealismo, spiritualità. Queste critiche, in ogni caso, affrontavano snodi teorici di grande densità che oggi sembrano aver lasciato il campo ad accuse decisamente più grossolane. Alcuni gruppi su Facebook, che si muovono secondo la logica che omologa lo studio di un evento alla sua giustificazione, incolpano infatti il Museo di diffondere e “difendere” idee di tipo razzista e antimeridionalista attraverso l’esposizione del materiale accumulato dal medico-criminologo Cesare Lombroso.
Al visitatore si presenta un repertorio non molto ampio ma assai vario che si sgrana tra macchine di misurazione di crani e scheletri, reperti dei detenuti, modellini di celle, brani (anche riprodotti con letture diffuse in voce) degli scritti di Lombroso. Ne emerge una figura che rispecchia le specifiche tensioni e contraddizione di un’epoca e un ambiente. Lombroso fu socialista, riformista e strenuo difensore della pena di morte oltre a sostenere l’inferiorità “naturale” dei negri e delle donne; convinto propugnatore della base organica delle malattie mentali, negli ultimi anni di vita affacciò dubbi sulla teoria dell’atavismo, uno dei cardini dell’intera sua opera. Affermava certo che “fronte stretta, seni frontali, orbite, mandibola, zigomi enormi, asimmetrie della faccia, del naso, delle orbite” fossero segni inequivocabili di una tendenza alla delinquenza. Ma si interrogava anche sul rapporto tra natura criminale (per lui incancellabile), colpa e punizione.
L’articolato ma non prolisso accompagnamento esplicativo ribadisce, soprattutto nei grandi pannelli finali, che nulla di validato scientificamente è rimasto delle tesi lombrosiane. Nessun giustificazionismo dunque, quasi una excusatio, ad indicare che il fine del museo non è quello di esaltare o denigrare ma di offrire strumenti alla comprensione non solo di un uomo e di una storia, ma di un mondo e un pensiero.
Lo spettatore esce dalla mostra con la consapevolezza che il “tachiantropometro” o la carrellata di calchi in cera di teste di criminali rimandino a un tempo in cui si ingranavano l’istinto sociale di “sorvegliare e punire”, la dilatazione parossistica del concetto di devianza e la diffusione di un capillare universo reclusivo. Una realtà – non del tutto estranea all’oggi - di cui Lombroso risulta essere un’espressione non priva di drammatica intensità.
Il biglietto del Museo dà l’accesso, a modico prezzo, anche il museo della frutta (splendidi modelli plastici di fine Ottocento) e a quello di anatomia, presenti nello stesso storico edificio torinese, con l’interessante novità di permettere visite in giorni differenti. Sufficiente la disponibilità di libri tematici.
Tags: cesare lombroso, devianza, Franco Milanesi, museo della frutta, museo di antropologia criminale, razzismo, sorvegliare e punire, torino,
Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso, Torino
Dove: via Pietro Giuria 15, Torino
Quando: dal lunedì al sabato dalle 10 alle 18
Sul web: http://www.museounito.it/lombroso/storia/default.html
Commenti
Invia nuovo commento