Nascono muti negli anni del monopolio RAI. Poi, con l'avvento dei talk show pomeridiani Mediaset e l'invenzione del "pubblico parlante", anche loro hanno guadagnato il diritto alla parola. Iniziano da lì i sogni di gloria dei figuranti, disposti a tutto in cambio di qualche minuto di celebrità catodica
di Alessandra Testa
Sono i signori nessuno della televisione. Quelli che applaudono a comando e i cui volti riesci a scorgerli giusto se sono in prima fila e la zoomata della regia non è troppo rapida. Quando sanno di essere inquadrati mostrano un sorriso a trentasei denti, ma capita anche di sorprenderli con lo sguardo perso nel vuoto, come se senza l’inquadratura della telecamera non fossero davvero lì.
Per contratto si chiamano figuranti, ma se la trasmissione a cui partecipano non è soggetta alle regole ferree di certi talk show politici possono addirittura guadagnarsi lo status di “pubblico parlante”. Capita nei pomeriggi televisivi di Mediaset, dove in trasmissioni come Amici e Uomini e donne, sconosciute casalinghe diventano esperte in galateo, amore e abbigliamento dispensando amorevoli consigli ma anche violente critiche qualora il concorrente di turno superi i limiti (praticamente sempre) della cosiddetta decenza popolare. Per azzuffarsi l’una con l’altra le signore di Maria De Filippi possono guadagnare dai 50 ai 100 euro al giorno e, a differenza, dei colleghi “muti” della Rai, vengono riconosciute e fermate per strada dai teledipendenti di ogni età.
A parte qualche eccezione - vedi la figurante strapagata (300 euro) per elogiare la ricostruzione de L’Aquila dopo il terremoto - i figuranti sono in fondo dei poveri diavoli. Gente che per un minuto di celebrità (si sa, se non sei in televisione, non esisti) venderebbe anche la mamma o che, con la disoccupazione che dilaga, è costretta a fare di necessità virtù vivendo di comparsate fino a quando in tempi migliori non troveranno un lavoro vero. La deriva è però preoccupante: perché arrotondare o sbarcare il lunario non può essere l’alibi per sbraitare in diretta televisiva e confermare, ancora una volta, che nell’Italia delle arene ha ragione solo e sempre chi grida di più.
Non può che far tristezza allora la madre che tutta abbronzata (e non è nemmeno estate) ti annuncia in fibrillazione che suo figlio “è stato selezionato per fare il tronista”. O la commessa che, mentre ti mostra i prodotti richiesti, sente l’impellente desiderio di comunicarti che, “ebbene sì”, l’hanno chiamata per fare un provino a Canale 5. “Ma si rende conto?”, domanda al settimo cielo. Poi la immagini, mentre resta ore e ore in attesa negli studi televisivi di Cologno Monzese, con i suoi occhi grandi a sognare una vita diversa. È emozionata, si guarda nello specchietto che tira fuori in continuazione dalla borsetta e si “fa i film” su quel che diranno di lei, quando la vedranno uscire dal teleschermo, quegli invidiosi del paese.
Quando però scopri come si fa trattare dagli addetti al casting che prima se la dimenticano in un angolino, poi la cazziano per come si è vestita e infine le offrono il panino rancido e il bicchiere d’acqua che la produzione ha preparato per lei e le altre dilettanti allo sbaraglio, ti alteri. Eppure l’antifona le dovrebbe essere chiara. E, invece, no. Resta, fa la smorfiosa, prova a farsi notare. Eppure i tempi di Non è la Rai sono passati da secoli. Perché un benvenuto del genere non le basta? Perché non gira i tacchi e se ne va? La risposta sta tutta nel futuro che l’aspetta e che, forse, anche si merita.
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Il figurante televisivo
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