Per tutto il tempo del loro nuovo spettacolo attori e spettatori sono osservati dagli occhi del Cristo dipinto da Antonello da Messina. Sul Concetto di Volto nel Figlio di Dio è l'ultima provocazione della compagnia diretta da Romeo Castellucci nei confronti linguaggi rassicuranti del teatro tradizionale
di Sergio Buttiglieri
Per tutto il tempo del loro nuovo spettacolo attori e spettatori sono osservati dagli occhi del Cristo dipinto da Antonello da Messina. Sul Concetto di Volto nel Figlio di Dio è l'ultima provocazione della compagnia diretta da Romeo Castellucci nei confronti linguaggi rassicuranti del teatro tradizionale
Ogni volta che affronti uno spettacolo della Socìetas Raffaello Sanzio devi essere preparato a qualsiasi cosa. Devi essere pronto ad abbandonare il concetto classico della messa in scena teatrale, quello che porta spesso a giudicare “carino” ciò che si è appena visto, semplice variante del repertorio che popola gran parte dei palcoscenici italiani. Con la compagnia di Cesena fondata da Romeo Castellucci, “carino” è abolito: il loro lavoro o piace o disturba. Sicuramente non lascia indifferenti. Non sempre c’è un vero e proprio testo, non sempre degli attori. A volte lo spettacolo è una semplice pulsazione di suoni e di colori, comunque prodotti in diretta, come mi capitò di vedere qualche anno fa a Torino al Teatro Carignano. Ricordo ancor oggi lo sguardo stupito di mio cugino, completamente digiuno di teatro, ma profondamente colpito da ciò che aveva visto.
Questo Sul Concetto di Volto nel Figlio di Dio è un lacerante, dolorosissimo primo episodio dell’ultima ricerca teatrale della Compagnia. Ha debuttato l’estate scorsa ad Essen e poi ai Festival di Dro e di Roma Europa. E poi è stato meritoriamente ripreso dal Teatro Era di Pontedera, prima di prendere il volo nuovamente verso i palcoscenici europei, dove la Socìetas è particolarmente apprezzata e ospitata con grande successo. Del resto, trovare più facilmente accoglienza all’estero che in Italia è purtroppo una costante del nostro teatro: vale Emma Dante, Pippo Delbono, Spiro Scimone e Francesco Sframeli, Davide Enia, Motus, e molti per altri gruppi d’indubbio valore.
Lo spettacolo, che ha avuto degli aggiustamenti dopo le prime rappresentazioni, asciugandosi ulteriormente per far meglio trasparire l’essenza della rappresentazione, inizia mostrandoci un vecchio signore. È seduto su un divano bianco, con lo sguardo spento, di fronte a una grande tv a schermo piatto in una casa borghese, maniacalmente arredata in solo bianco. Intento a prepararsi per uscire vediamo il figlio manager. Mentre lo saluta tutto incravattato e tirato a lucido, si accorge che il padre, imbarazzato e indifeso, si è sporcato e ha lordato di inequivocabile marrone il divano bianco su cui e seduto. Il figlio, premuroso e paziente, lo pulisce, lo cambia e lo consola, facendolo accomodare sulla sedia accanto al tavolo. Giusto il tempo per accorgersi dell’incapacità del padre a contenersi, e il marrone macchia ulteriormente questo corpo, destabilizzando, oltre allo spazio asettico in cui in solitudine passa le sue giornate, il figlio stesso, che alla fine sbotterà di rabbia col padre ormai del tutto fuori controllo.
Badate bene che, anche se può sembrarlo, non siamo di fronte ad un teatro naturalistico: le deiezioni a un certo punto saranno riversate con una tanica tutte intorno dall’attore stesso, svelandone l’aspetto simbolico. Tutto ciò avviene con un enorme volto di Cristo sullo sfondo, un Ecce Homo proiettato su un telo teso. Un volto immobile e sofferente di dolente bellezza, che tutti riconosciamo come uno dei più indimenticabili quadri di Antonello da Messina. Un volto che guarda direttamente verso di noi e che a un certo punto si dinamizza, grazie all’intervento di rocciatori che dall’interno provocano una densa e inarrestabile pioggia di lacrime e sangue, fino a lacerarne il viso. Ma prima che il quadro sia scardinato, svelandoci la sua effimera consistenza, sia il figlio che il padre si erano nascosti dietro quel volto che fa parte della nostra iconografia cristiana e che emoziona molti di noi.
Lo sguardo del padre parcheggiato davanti alla tv è appena meno inquietante di quello dei nostri figli stabilmente ormeggiati di fronte al computer e ai suoi social network. Minimo comun denominatore è la mancanza del prossimo, che ben ci raccontava lo psicanalista Luigi Zoja nel libro edito da Einaudi, intitolato appunto La morte del prossimo. La cassiera al supermercato ormai legge solamente i codici a barre senza neppure guardarci negli occhi, immagazzinando piuttosto, per conto dei suoi committenti, le nostre abitudini accuratamente catalogate dalle nostre tessere fedeltà. Abbiamo il permesso di interagire con gli altri solo e soprattutto in quanto consumatori.
Le repliche del misero spettacolo che con più o meno fatica continuiamo a mettere in scena – ormai per decreto ministeriale sempre più a lungo – termineranno senza avere il tempo di pensare all’insignificanza della nostra vita. Con forse un figlio che, se saremo fortunati, per un po’ ci accudirà o che, molto più probabilmente, ci affiderà alle cure di sconosciuti malamente stipendiati che a loro volta avranno la testa altrove, magari alle loro famiglie extracomunitarie che tentano di mantenere.
Con questo feroce tassello drammaturgico la Socìetas ci scuote dal torpore e ci mostra quanto sia vicino il senso della esistenza: nello sguardo di chi ci sta accanto e che non sappiamo più accogliere dentro di noi, troppo presi dall’ansia del produrre o dall’ultima stupida trasmissione televisiva, metadone per non pensare e per non vedere.
Tags: recensione, Sergio Buttiglieri, social network, Societas Raffaello Sanzio, Sul Concetto di Volto nel Figlio di Dio, teatro, televisione,
Sul Concetto di Volto nel Figlio di Dio della Societas Raffaello Sanzio, regia di Romeo Castellucci
La locandina: con Dario Boldrini, Silvia Costa, Gianni Plazzi, Vito Matera e Sergio Scarlaterra; musiche originali di Scott Gibbons
Fotografie: Klaus Lefebvre e Jack Delanorid
Tournée: per gli spettacoli della Socìetas consultate il sito www.raffaellosanzio.org; appena scorgete una data non troppo lontana da voi andate a vederli, qualsiasi sia il loro spettacolo
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