Anzi, è femminista. Perché è vero che nella storia ci sono sempre state grandi pensatrici, da Ipazia di Alessandria a Virginia Woolf passando per le mistiche medioevali. Ma solo grazie al movimento iniziato negli anni '60 hanno smesso di essere una simpatica minoranza per vedersi riconosciuta una creatività autonoma. E radicalmente alternativa alla visione del mondo maschile
di Chiara Zamboni
Ipazia, Virginia Woolf, Luce Irigaray
Il legame tra le donne e la filosofia è un fatto antico. Non si tratta solo di una scoperta degli studi femministi della seconda metà del Novecento, ma di una conoscenza di cui portano testimonianza storici e cronachisti antichi e moderni. Diogene Laerzio, Aristofane e Plutarco ne parlano nei loro scritti. Nel Seicento ci sono in Francia diversi testi che ricostruiscono la presenza di donne filosofe del passato.
Non è un caso che si tratti della Francia, dato che i salotti delle dame dell’aristocrazia e della borghesia del tempo soprattutto a Parigi avevano creato il contesto giusto perché ci fosse attenzione per il legame tra le donne e il pensiero. Uno dei testi più noti in questo senso è Storia delle donne filosofe di Gilles Ménage. Così si conoscono le pitagoriche, le epicuree, le ciniche. Aspasia, Ipazia d’Alessandria.
Durante l’impero romano furono le imperatrici a creare circoli filosofici di donne. Oggi viene dato molto spazio alla presenza femminile nel medioevo, dalla forza visionaria di Hildegarda di Bingen, badessa tedesca, alla raffinata cultura degli scritti delle mistiche come Margherita Porete. L’epoca moderna vede un sorgere vivo del pensiero sia nei salotti del Seicento e del Settecento sia nei conventi, in forme molto diverse. Nota è la presenza di grandi pensatrici e filosofe nel Novecento, da Virginia Woolf a Simone Weil, Hannah Arendt, María Zambrano.
La presenza di filosofe è dunque antica, e per quanto riguarda la cultura occidentale ne vediamo esempi in epoche molto diverse tra loro. Tuttavia l’attenzione per il pensiero filosofico femminile è l’effetto di un taglio simbolico che è avvenuto a cavallo tra gli anni ‘60 e ’70 del Novecento con il femminismo, che ha creato un’attenzione nuova e diversa e una presa di consapevolezza dell’importanza che anche nel passato ci fossero donne che amavano la filosofia e avevano contribuito ad essa. Da quel momento in poi la presenza del pensiero femminile nel presente e nel passato è stata letta come espressione di una autonoma creatività di pensiero piuttosto che come una semplice presenza di cui tenere conto, per simpatia verso il “sesso più debole” e per completezza storica; impostazione fino a quel momento prevalente a causa di uno sguardo di uomini abituati a riconoscere valore soprattutto all’impostazione maschile del pensiero.
Il taglio simbolico del femminismo ha portato al centro un evento che la filosofa Angela Putino descrive come la presa di consapevolezza che le donne pensano. Questo accadimento è stato sostenuto e in un certo senso creato dalla politica delle donne, che ha criticato l’ordine simbolico patriarcale, ha compiuto il gesto di separarsi dai luoghi misti di tradizione maschile, e contemporaneamente ha aperto alla messa in parola del desiderio femminile e a come questo può cambiare la politica, il pensiero, le forme della civiltà. Non si è trattato tanto o soltanto di una lettura critica della realtà quanto contemporaneamente e soprattutto della ricerca di vie nuove che tenessero al centro l’esperienza femminile.
Carla Lonzi in Italia negli anni ‘70 ha saputo elaborare filosoficamente questi atti politici di rottura, a cui ha contribuito personalmente, non solo criticando la cultura maschile patriarcale e i comportamenti di singoli uomini, ma soprattutto valorizzando vie soggettive di verità che donne diverse andavano tessendo tra loro nei gruppi di autocoscienza. Lonzi è riconosciuta dalle molteplici correnti di pensiero femminile presenti in Italia proprio per la sua capacità di dare espressione filosofica al sapere implicito che i piccoli gruppi di autocoscienza separatamente stavano creando.
La forza del movimento politico ha portato a consapevolezza il fatto che le donne pensano, e pensano in modo libero e autonomo. Quando si considera il rapporto delle donne con la filosofia occorre simbolicamente partire da qui e dalla via sperimentale che tutto questo ha aperto. È da qui che le donne che hanno passione per la filosofia hanno criticato il paradigma imperante nella tradizione filosofica del Novecento, cioè la sostanziale neutralità del discorso filosofico prevalente, valido di principio sia per uomini sia per donne allo stesso modo.
Quando studiavo filosofia a scuola e mi trovavo di fronte ad una affermazione come quella di Aristotele – tanto per fare un esempio - per la quale l’uomo è un animale razionale, la prima mossa che io e tante mie compagne facevamo senza dircelo era di tradurre questa espressione in quella più articolata che gli uomini e le donne sono animali razionali. In questo modo ci includevamo nel discorso di Aristotele. Era un modo per esserci e per far sì che la filosofia valesse anche per noi. Le affermazioni di Aristotele sulle donne – che pure esistevano nei suoi testi e ci sembravano anacronistiche - le saltavamo semplicemente dentro di noi.
Oggi io e altre possiamo dire in filosofia che donne e uomini sono sì esseri umani tutti, ma il ragionare ha una diversità che va scoperta via via nel percorso stesso del fare filosofia e non è data una volta per sempre. Lo scambio a partire da tale differenza arricchisce enormemente la filosofia, in realtà impoverita da un impianto filosofico neutro, costruito di fatto dal pensiero maschile, che esclude la differenza sessuale perché giudicata elemento marginale nel ragionare.
Martin Heidegger relega la differenza donna-uomo, ad esempio, al solo campo dell’antropologia. In questo modo egli si impedisce di vedere quanto invece la differenza sessuale sia la chiave fondamentale di continua scoperta di una certa collocazione nei confronti dell’essere. La differenza umana porta ad una diversa interrogazione dell’essere in un processo infinito e aperto. Mai concluso.
Il guadagno del pensiero della differenza sessuale, se pure ottenuto per la rottura paradigmatica di cui sono state protagoniste le donne, riguarda anche quegli uomini che sono disposti a mettere in gioco se stessi nel pensiero a partire dalla loro differenza. Io credo che vi siano interessati quegli uomini che avvertono stretti i codici di dicibilità dell’essere uomo oggi nell’ordine simbolico prevalente, e che cercano una verità soggettiva rischiosa ma fedele al movimento trasformativo di cui si sentono partecipi tra sé e sé e nel loro rapporto con il mondo.
Tra gli anni ’70 e ’80 diverse donne hanno accettato il rischio di cambiare lo statuto della filosofia, seguendo il desiderio di dare l’avvio ad una rivoluzione epistemologica che avesse al centro la differenza sessuale. Anzi, alcune hanno incominciato a fare veramente filosofia proprio lavorando su questo. Penso a Luce Irigaray, a Julia Kristeva e a Hélène Cixous in Francia, a Luisa Muraro, Angela Putino, la comunità di filosofia femminile Diotima e ad Adriana Cavarero in Italia. A Mary Daly e Judith Butler negli Stati Uniti. Ma il tessuto di lavoro filosofico è molto più ampio, fitto e ricco e questi pochi nomi non ne danno conto.
È un pensiero filosofico quello femminile che oggi è fortemente in movimento articolandosi soprattutto attorno ad alcuni temi, nuclei, centri di interesse. Innanzi tutto c’è l’ampio dibattito che riguarda la filosofia politica. Sono in discussione da parte delle donne le forme della politica maschile ad iniziare da quella prevalente oggi della democrazia, che si fonda sull’eguaglianza tra donne e uomini, cittadini eguali dello Stato. La questione è come aprire la democrazia a quello che essa non prevede, e cioè una differenza femminile portatrice di un desiderio di politica altro, non riducibile alle istituzioni e ai poteri rappresentativi. E, più radicalmente, se è possibile far sì che la politica diretta sperimentata dal movimento delle donne diventi modello di trasformazione politica contaminando altre forme.
Nel dibattito sui biopoteri, cioè sulla capacità delle istituzioni statali di generare comportamenti “corretti” riguardanti sessualità, natalità, salute, le donne hanno aperto un conflitto per affermare l’autonomia di decisione rispetto al proprio corpo, in particolare alla maternità come esperienza di sperimentazione di un legame affettivo e simbolico allo stesso tempo. Il dominio riconosciuto della scienza su tali questioni, come quella che ha il diritto all’ultimo parola, copre un vero e proprio conflitto tra i sessi per la gestione del corpo femminile.
Questa tematica sfiora (anche se non coincide con) quella ecologista, dove il dibattito dell’ecofemminismo sta tentando vie filosofiche per trovare forme espressive e simboliche delle diverse sperimentazioni locali e pratiche in atto nel preservare le diverse specie e nel mantenere un equilibrio in agricoltura. Cerca un nuovo modo di formulare la filosofia della natura.
Un’altra grande questione è quella della lingua materna, che è la lingua affettiva che si impara da piccole/i da nostra madre o da chi ci ha insegnato a parlare. È una lingua che viene cancellata dagli studi di linguistica, perché legata alla contingenza di essere nati in quella regione, con quella lingua, in quella famiglia piuttosto che in un’altra. L’aspetto per il quale la lingua materna tiene uniti segno e cosa nella fiducia della relazione affettiva può essere preso come chiave per leggere le diverse forme di linguaggio - da quello politico a quello di potere, da quello cognitivo a quello poetico - andando ad aprire i linguaggi al loro interno per un di più che essi possiedono.
Mi sembra che un altro grande campo vitale per la creazione simbolica femminile sia quello religioso. Come parlare di Dio in lingua materna, come chiamare Dio se al maschile o al femminile, come pensare e vivere la comunità nello scambio tra donne e uomini quale radice del modo di manifestarsi di Dio: sono tra le questioni che in questo percorso filosofico le donne pongono. Le donne vanno così a riformulare la lettura e il commento dei testi sacri inventando una nuova forma di ermeneutica molto diversa da quella maschile.
So di aver accennato in questo modo ad alcuni dei percorsi che il pensiero filosofico femminile sta battendo in questo momento storico e so che i percorsi sono anche di più di così. Ma l’incompletezza della mia esposizione è segno della ricchezza del fare filosofia da parte delle donne oggi.
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