A un mese e mezzo dalle elezioni regionali, un viaggio negli slogan pubblicitari dei partiti. Per scoprirne delle belle: dal candidato che approfitta del cognome tristemente famoso, allo strano caso dell'agenzia che è noiosa o frizzante a seconda del cliente, passando per quelli che sono a livello dei poster da meccanico
di Bruno Ballardini
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Riecco le elezioni. Dal dopoguerra a oggi, questo paese sembra costantemente impegnato in una infinita, interminabile, assemblea di condominio in cui, a cadenze regolari, viene chiesto ai condomini di votare per il rinnovo dell’amministrazione. Lo fanno organizzando una specie di festival. Il festival delle promesse. Si esibiscono per settimane sui manifesti e in televisione, e alla fine vince chi recita meglio le solite promesse di sempre. Come in tutti i festival, c’è anche una sezione “giovani” dove sono ammesse le nuove promesse. Ma siamo in un paese conservatore e le nuove promesse hanno ben poco credito. Oltre a valere poco, come a Sanremo. Perché agli italiani, fondamentalmente, non gliene frega niente che vengano mantenute. A loro piace l’arte per l’arte, vanno matti per le infinite variazioni sul tema che i maestri della seduzione politica creano per catturare l’attenzione e ottenere consenso. Come diceva Mussolini, “governare gli italiani non è difficile, è inutile”.
In Lombardia il Pd parte in folle, almeno stando al visual della campagna per Penati: una leva del cambio. Evidentemente, i pubblicitari, dopo essersi cacciati da soli nel vicolo cieco del calembour a bassa performance, avevano solo due alternative per visualizzare la headline “È tempo di cambiare”: o una leva del cambio, o un orologio. Diciamo “a bassa performance” perché in realtà la visualizzazione letterale di quanto è contenuto in un titolo si usa solo per ottenere effetti demenziali devastanti, mai quando si deve parlare sul serio. Per fare un esempio, sui poster pubblicitari che vanno a ruba fra i meccanici, si usa la stessa logica: per una marca di chiavi inglesi, lo slogan “Ti dà una mano” viene visualizzato con il primo piano della mano di un camionista che dà una pacca sul culo di una modella nuda lasciandoci sopra stampata un’impronta di grasso per motori. Tecnicamente, il livello è lo stesso.
Un caso a parte è quello della campagne del Pd a livello nazionale e di Nichi Vendola in Puglia: l’agenzia che le ha partorite è la stessa, eppure il risultato è decisamente diverso. Il fatto che si siano serviti della stessa agenzia dimostra come l’influenza del “cliente” possa determinare sviluppi più o meno creativi, più o meno intelligenti. I pubblicitari alla fine sono soltanto degli esecutori.
La campagna nazionale dei democratici si caratterizza per l’abusatissimo schema “problema-soluzione” con una dose abbondante di consumer insight, ovvero di immedesimazione dei desiderata del pubblico. Probabilmente, secondo i burocrati di partito che devono avere ancora una visione pavloviana della pubblicità, uno vede questi ritratti di se stesso (insegnante, manager, disoccupato ecc.), legge il fumetto con la domanda che si fa tutti i giorni, e per qualche senso di immedesimazione dovrebbe aderire alla soluzione proposta: votare Pd. Perché ti promette “In poche parole, un’altra Italia”. Lo slogan sta bene anche in bocca a Bersani, che in effetti è uomo di poche parole. Ma a noi sembrano comunque troppe.
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Commenti
Per il manifesto di Penati
Per il manifesto di Penati (quello con la cloche del Porche Cayenne a simbolo di cambiamento!) aggiungerei che comunica bene il programma del PD: dell'inquinamento non ce ne frega nulla, abbiamo fagocitato i Verdi, tutti in auto... unico cambiamento promesso è il sedere di chi siederà sulla poltrona di governatore, perché anche sulla faccia c'è poco da dire: Penati e Formigoni sembrano gemelli.
Ho visto il manifesto di
Ho visto il manifesto di Dell'Utri ieri sera dal bus...ero sicura che non vi sarebbe sfuggito!!
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