Il nuovo disco delle Hole, capitanate dalle vedova di Kurt Cobain, ci conferma che nel rock per far parlare di sé ormai basta la cattiva reputazione
di Massimo Balducci
Giusto qualche giorno fa, Massimo Gramellini osservava su La Stampa le sconcertanti analogie tra le notizie di un giornale datato 20 novembre 2002 e quelle che tengono banco oggi: un disastro ambientale causato da una petrolifera, i veti incrociati che ostacolano il dialogo sulla giustizia, Tremonti che prepara una finanziaria di lacrime e sangue, la Lega che preme per il federalismo fiscale, eccetera eccetera, fino ovviamente alle polemiche interne al principale partito di centrosinistra.
Insomma è come se la stampa di casa nostra avesse fatto proprie le teorie di Fukuyama, dimenticandosi della realtà per lasciare spazio ad una sorta di eterno presente dove si muovono sempre gli stessi personaggi ripetendo le stesse parole d’ordine.
Ma forse vi starete chiedendo cosa c’entri tutto ciò con Nobody’s Daughter, il nuovo disco delle Hole ovvero di Courtney Love ovvero la vedova di Kurt Cobain: ebbene, leggendo il solito paginone di Gino Castaldo pubblicato in questi giorni su Repubblica, ho capito fin troppo bene cosa provava Gramellini con il suo smarrimento temporale. “Courtney Love, la regina delle ‘bad girls’, vedova blablabla, torna con il disco che celebra la sua rinascita." "Basta pillole e chirurgia, sarò cattiva solo sul palco”. Mentre la didascalia accanto alla foto ci ricorda che la bad girl “ha vissuto l’adolescenza in riformatorio”.
Se andassimo a ripescare i giornali non dico del 2002, ma addirittura del 1994, scommetto quanto volete che troveremmo esattamente gli stessi concetti e forse persino le stesse esatte espressioni tratte dai bugiardini del maledettismo rock. Perché il rock è maledetto, vero? Dunque non ha alcun bisogno di progredire, e la stampa non sente più nemmeno il bisogno di creare un nuovo fenomeno. Proprio il grunge anzi fu l’ultimo: e da allora, la musica vista dai giornali pare proprio - ehm - un eterno presente in cui si muovono sempre gli stessi personaggi ripetendo le stesse parole d’ordine. Dove non importa più ciò che è mainstream e ciò che è (come si diceva nei Novanta) alternativo, ovvero (come si diceva nel decennio appena trascorso) indie. Le Hole - come quasi tutti i personaggi che fanno notizia nella musica d’oggi - sono parte di un unico, immenso, totalitario calderone: il mainstrindie, appunto. Perché oggi c’è sempre un po’ di alternativo in ogni mainstream, e c’è sempre un po’ di mainstream nell’alternativo; al punto che non c’è più modo per distinguere gli uni dagli altri.
Come suona dunque il mainstrindie delle Hole? L’ho ascoltato - eh, non crediate - ed è molto peggio di quanto pensassi. Dico solo che, a confronto, fa quasi sembrare interessanti le interviste della signora Love: qui lo sbrodolamento autocompiaciuto, di chi palesemente “ci fa” perché non ha più nulla da dire (ammesso che l’abbia mai avuto) rasenta il ridicolo.
Stilisticamente sembra davvero risalire al 1994, ma stavolta non per qualche sorta di revival: perché un revival si può avere, per definizione, solo se c’è stato qualcosa in mezzo; mentre nel rock degli ultimi 16 anni non c’è stato praticamente nulla. E se l’innovazione in quanto tale non è certo un obbligo, è pur vero che la musica è la più grande nemica della staticità: anzi, senza movimento la musica non può nemmeno esistere.
A margine, notiamo che i due principali nomi coinvolti da Courtney Love nella realizzazione dell’album sono Billy Corgan (ex-Smashing Pumpkins) e Linda Perry (ex-4 Non Blondes, per chi se le ricorda). Ma non sono - soltanto - loro ad avere bisogno del carbonio 14: il problema è tutto quello che hanno intorno.
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HOLE, NOBODY'S DAUGHTER
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