E gli israeliani, e i marocchini, e gli armeni... ospite dalla rassegna MiTo, il compositore spagnolo ha raccolto musicisti da tutto l'oriente e invaso il conservatorio di Torino con la sua personalissima idea di fusion. Stasera si replica a Milano
di Dario De Marco
D’accordo, non si dovrebbe fare, perché la recensione di un concerto il giorno dopo a chi interessa, si dice: gli appassionati se lo sono andato a vedere e non hanno bisogno di leggersi il pezzo, gli indifferenti non se lo sono andato a vedere e non gliene frega niente di leggersi il pezzo. Eppure. Magari c’è l’appassionato che voleva e non ha potuto, magari c’è l’indifferente che non sapeva quello che si perdeva. E poi, la segnalazione non è inutile, sono varie le possibilità di recuperare. Quali? Lo vediamo alla fine
Rassegna MiTo, musica classica ma con qualche scappellamento: tipo quest’anno c’era addirittura Guccini, e un focus di vari concerti dedicato alla Turchia, tra il filologico, l’etnico e il moderno. Torino, 19 settembre: in scena Jordi Savall, con un ensemble di suonatori turchi, armeni, israeliani, marocchini.
Sono anni che questo grande musicista si dedica alla ricerca e al recupero, della musica antica e di musiche altre, forse meno antiche ma altrettanto in via di estinzione. L’ultima fissa l’ha presa per Dmitrie Cantemir, principe moldavo che tre secoli fa fu prima prigioniero poi ambasciatore infine divo della scena musicale presso la corte del sultano a Istanbul. Dalle centinaia di composizioni raccolte nel Libro della scienza della musica da Kantemiroglu, come si ribattezzò sul Bosforo, Savall ha pescato le più belle, e poi ci ha messo del suo: siccome all’epoca Istanbul era un po’ il centro del mondo, con gli ebrei sefarditi cacciati dalla Spagna e accolti invece da quei cattivoni dei musulmani, con gli armeni che circolavano ancora liberi e felici, insomma il collage ci stava tutto. Per cui disco, capitato a fagiuolo con SettembreMusica.
Già qualche anno fa Jordi Savall aveva esplorato le segrete corrispondenze tra musiche antiche o popolari dell’Europa e musiche classiche o popolari dell’Asia vicina e media: Orient Occident si chiama l’album, e gioca a nascondino con l’orecchio, perché alternando rigorosamente un pezzo europeo e uno ottomano, un ballo spagnolo e uno strumentale afgano, fa emergere non la somiglianza ma l’assoluta indistinguibilità tra le due tradizioni. Stavolta però Savall va oltre, perché i brani di provenienza diversa non sono solo giustapposti, ma fusi a creare delle piccole suite, e come collante tra una ballata sefardita, una scatenata progressione turca e un lamento armeno, dei pezzi improvvisati da uno o più strumenti (altra eresia!, giacché i taksim tradizionali della musica araba e turca sono suonati da un solo musicista, e posti come introduzione al brano).
Detta così, può sembrare la solita cosa buonista delle culture che si incontrano, del musicista israeliano che suona a fianco di quello arabo (non è un esempio a caso, ma vero: suonano pure lo stesso strumento, l’oud), insomma bell’idea ma alla fine un po’ una palla. Invece risultato meraviglioso, lontano sia da certi cliché ammiccanti della world music sia dalla noia accademica della musica antica, e pubblico in delirio. Cosa insolita, prima del bis Jordi Savall ha fatto un giro di presentazione, ma nominando non i musicisti bensì gli strumenti: il ney (flauto turco), il duduk (oboe armeno), l’oud (liuto arabo), il kemanche (violino iraniano) e così via. Mera curiosità per etnologi, o messaggio sottinteso, del genere siamo solo interpreti, trasmettitori, la protagonista è la musica?
Infine, come promesso, le possibilità di recupero. Innanzitutto stasera, stesso programma ma a Milano (se ci sono ancora biglietti…). Poi gli altri appuntamenti del focus Turchia, alcuni dei quali coinvolgono musicisti in scena con Savall (per i dettagli vedere il sito). E poi il disco, Istanbul. Dimitrie Cantemir 1673-1723 (Alia Vox).
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Jordi Savall, Conservatorio di Torino, 19 settembre 2010
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