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LIBRI - NARRATIVA

Moody boccia l'America

Come molti dei suoi illustri colleghi, da Jonathan Franzen a David Foster Wallace, Rick si è dato una missione letteraria, quella di descrivere al mondo gli Stati Uniti di oggi. Lo fa anche nel suo ultimo libro, Le quattro dita della morte, che da un canovaccio di fantascienza da serie b tira fuori un grandguignol apocalittico


di Giuseppe De Marco

 


È una cosa che lui non ammetterebbe mai, visto che è un tipo decisamente intellettuale, ma la verità è che Rick Moody appartiene a quel manipolo di scrittori che al momento hanno saldamente in mano il timone della letteratura americana. O almeno di quel filone, che in realtà ormai è quasi mainstream, che si potrebbe definire post-moderno (o post-post-moderno) se questo genere di etichette avesse ancora un senso.
 
Si tratta di ragazzotti (beh, insomma, ormai intorno ai cinquanta) del calibro di Jeffrey Eugenides o Jonathan Franzen, oltre al perennemente compianto D.F. Wallace, peraltro legato a Moody da un rapporto di profonda e antica amicizia. Tutti rigorosamente inclusi tra gli “autori più influenti dell’ultimo secolo”, o tra i “migliori 100 romanzieri della storia” o in un’altra delle mille classifiche che piacciono tanto agli americani (sì, anche agli intellettuali). È gente che si è data una missione letteraria nella vita. E questa missione è svelare al mondo il vero volto della società contemporanea, che è un altro modo per dire parliamo dell’America oggi.
 
moodylibro.jpgOra, siccome le cose in generale non è che vadano proprio benissimo, il famoso “romanzo sociale (post)moderno” è un’epopea che facilmente vira sul malinconico, o meglio su un certo rassegnato senso di perdita e sconfitta, variamente coniugato a seconda delle diverse inclinazioni di ciascuno. Qualcosa che ha a che fare con questioni tipo lo sfaldamento dei punti di riferimento culturali, la frammentazione della coscienza individuale o l’autoreferenzialità ipocrita dei rapporti affettivi. Volendo si potrebbe arrivare anche alla “decadenza del modello tardo borghese” se non ci fosse seriamente il rischio di annientare in questo modo qualunque velleità degli aspiranti lettori.
 
E sarebbe un vero peccato. Perché, a prescindere dalla valutazione complessiva su questo genere di opere, la verità è che Rick (come i suoi amici del resto) scrive maledettamente bene. Ed è in fondo la sola cosa che dovrebbe contare davvero quando si aprono le pagine di un libro. Certo, va detto che per il suo ultimo lavoro Moody si è lasciato forse prendere un po’ troppo la mano, e non solo per la mole complessiva dell’opera, che sfiora le 900 pagine.Il fatto è che questo più che un romanzo sembra essere un distillato di tutta la potenzialità artistica del suo autore. Un libro-monstre, complesso, ambizioso, surreale e apocalittico, in cui all’alternanza di registro (alto-basso, come nella miglior tradizione del romanzo post-moderno) si sovrappone quella dello stile (comico-drammatico, peraltro non sempre distinguibili, con effetti un po’ stranianti) e finanche delle storie, che sono almeno due.
 
In un futuro appena dietro l’angolo, siamo nel 2025, ma in cui il mondo è già andato abbondantemente a rotoli (corruzione e droghe dilaganti, America a picco, blocco sino-indiano a dettare le regole dell’economia) Montese Crandall, aspirante scrittore di racconti lunghi una sola frase, si gioca a scacchi la possibilità di scrivere una riduzione romanzata di un vecchio b-movie horror del 1963: The crowling hand, "La mano strisciante".
 
E qui si dipana il resto della storia, che è appunto un (molto) libero adattamento del film. Tre capsule spaziali, con nove uomini di equipaggio, partono alla volta di Marte allo scopo di colonizzarne il suolo. Dalla missione spaziale, a causa di un misterioso germe killer introdotto per scopi militari all’insaputa di gran parte dell’equipaggio, farà ritorno solo il colonnello Jed Richards, capo della missione. O meglio il suo braccio, visto che Richards, gravemente contagiato anche lui, decide di far esplodere la capsula che lo sta riportando sulla Terra. La mano, priva del dito medio ma dotata di una sorta di proto-coscienza che la rende capace di spostarsi autonomamente, diffonderà morte e contagio tra la popolazione.
Una robaccia che solo un talento mostruoso poteva rendere non solo digeribile ma terribilmente affascinante.
 
Il prezzo da pagare è però quello di immergersi fino al collo in questo universo creato dalla mente bella e dannata di Rick Moody dove, tra disturbi disinibitori interplanetari, palmari sottocutanei, scimpanzé parlanti ed esperimenti criogenetici, va in scena questo grand guignol dell’Apocalisse moderna. È un viaggio vorticoso e sfibrante, verrebbe da dire “oltraggioso” per il modo in cui l’autore pretende di guidare il lettore ai confini delle possibilità offerte da quella-cosa-un-tempo-nota-come-romanzo.
 
E forse anche l’ovvia considerazione che una robusta sforbiciata avrebbe giovato alla godibilità del testo viene meno di fronte alla considerazione che questo lavoro in realtà va preso proprio così com’è. Assaporato paragrafo dopo paragrafo, senza chiedersi se faccia bene o male. E assimilato molto, molto lentamente. Buona digestione.



Tags: american novel, americana, David Foster Wallace, Giuseppe De Marco, Jonathan Franzen, postmoderni, recensione, Rick Moody,
06 Dicembre 2012

Oggetto recensito:

Rick Moody, Le quattro dita della morte, Bompiani 2012, p 912, 21,50 euro

 

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