Un ordigno micidiale creato da Stalin e attivabile con una telefonata, la possibilità di cibarsi di deiezioni per risolvere i problemi dell'Est europeo: sono alcune delle trovate (pessime) dello scrittore bulgaro nei racconti di Mitologia del tempo che cambia
di Giovanni Zagni
La raccolta Mitologia del tempo che cambia include undici brevi racconti dello scrittore bulgaro Alek Popov, scritti tra il 1990 e il 2007. Lo scenario è quello dell'Est europeo post-sovietico, grigio e deprimente. I personaggi sono piccoli delatori, imbroglioni o povera gente; gli avvenimenti, in gran parte fantastici.
E' quel genere di fantastico che si intreccia al quotidiano, fatto di figure misteriose che perseguitano il protagonista, di ossessioni irrazionali, di pazzie improvvise: l'atmosfera da guerra fredda, l'onnipresenza ostile e repressiva delle autorità unite al surreale ricorderanno al lettore qualche momento di Bulgakov. Altri racconti, come Il ciclo dei crauti, sfruttano e distorcono un repertorio già tardoromantico – il mistero familiare innominabile, i rituali misteriosi, l'uomo venuto da lontano – e danno alla pagina una certa atmosfera rétro.
Al di là di queste scarne coordinate, recensire i racconti di Popov è piuttosto arduo; proverò a farlo attraverso un esempio. Nel breve racconto Ninive, un occasionale compagno di viaggio del protagonista, intento nell'infilzare un cetriolino, chiede all'altro se, avendone la possibilità, distruggerebbe il mondo. Per nulla turbato, il protagonista risponde di sì: esso è marcio fino alle radici, argomenta. Lo sconosciuto, prontamente, dona un numero di telefono e una parola d'ordine che, alla bisogna, attivano un congegno realizzato da Stalin. Esso è di una semplicità infantile e ha specifiche tecniche assolutamente implausibili, ma il protagonista non accenna alcuna incertezza; la sua scarsa propensione per i sottili distinguo è confermata dal fatto che, poco dopo, furioso per la mancanza di acqua calda nella sua camera d'albergo, egli alzerà la cornetta appunto con il proposito di distruggere il mondo. Non svelo il prosaico finale.
Balzerà agli occhi la povertà dell'intreccio e quel suo giocare con elementi puerili (la fine del mondo, bombe atomiche). L'opera di Popov è quasi tutta qui e questo ne rende il giudizio particolarmente difficile: si vorrebbe e si dovrebbe parlare di qualcosa per recensirla, preferibilmente di letteratura, ma essa, tra qualche eccesso scatologico e un paio di momenti che sollevano un refolo di attenzione, uno scampolo di interesse, stenta a fornire argomenti di discussione. Fatico ad approcciarmi ad un racconto interamente costruito sulla possibilità di cibarsi delle umane deiezioni per risolvere i problemi dell'Est Europa.
Borges diceva che la semplicità è il faticoso traguardo dello scrittore. I racconti di Popov sono indiscutibilmente semplici: una trama estremamente lineare, personaggi ridotti all'osso, qualche spunto ironico. Siamo costretti ad ammettere che esistono due tipi di semplicità: quella che ricercava Borges e quella che ha raggiunto Popov.
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Alek Popov, Mitologia del tempo che cambia, duepunti edizioni 2010, p. 155, euro 12
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