L'inventore della videoscultura è protagonista di un'ampia personale al PAC di Milano: le sue installazioni parlano, hanno fattezze umane e grandi occhi che scrutano i visitatori
di Anna Colafiglio
Tony Oursler, Red ray, 2008
“Quando un oggetto è dotato di occhi diventa un corpo, anche se non ha alcun nesso con la forma di un corpo umano”. Anche se quella che ci troviamo davanti è una nebulosa vagamente antropomorfa, che di umano ha soltanto gli occhi, le labbra e, ogni tanto, qualche frammento di mano o di gamba. È un po’ inquietante l’umanità che trapela da questo ecosistema tecnologizzato, all’interno del quale ogni corpo sembra esploso sotto la pressione dei propri malesseri psichici, vittima di una frantumazione che turba e ammalia al contempo.
Le creature di Tony Oursler conciliano una dicotomia complessa: quella che vede coinvolte la tradizione della scultura e la modernità della videoarte. Padre indiscusso dell’innovativa tecnica della videoscultura, Oursler dà vita a un universo parallelo nel quale l’essere umano non è più tale, frantumato com’è dalla sua complessa relazione con una tecnologia invadente e invasiva. Le sue Talking Heads sono corpi scultorei neutri, dalle forme più disparate, che prendono vita attraverso proiezioni che le animano e le umanizzano: occhi, bocche e frammenti di corpi distorti “vestono” le sculture di umanità, conferendo a questi esseri scissi un aspetto decisamente destabilizzante. (a sinistra, Cosmic Cloud, 2007)
L’interazione tra le opere e lo spettatore avviene sia attraverso lo sguardo, generato dalla proiezione di occhi autenticamente umani, sia attraverso la dimensione sonora che accompagna le sculture, la quale contribuisce a creare un ambiente estremamente coinvolgente: le parole proferite o sussurrate dalle Talking Heads di Oursler si assemblano in monologhi angoscianti e perturbanti, testimonianze di disagi mentali e personalità multiple. Parole che appaiono echi di realtà remote ma che, a ben vedere, sono estremamente vicine all’uomo comune e al suo bagaglio di fobie e alienazioni quotidiane. La razionalità tenderebbe a escludere la reale esistenza degli esseri informi rappresentati, ma l’estremo realismo dei frammenti corporei di cui quelle stesse creature sono dotate turba l’osservatore e genera quella situazione di empatia partecipativa che Oursler ricerca e provoca con ogni mezzo.
Tony Oursler è un visionario, ma è portatore di un’arte estremamente onesta: mai tenta di celare i congegni che generano l’immagine e il suono di ogni singola opera. Non occultando la genesi delle sue creature, l’artista ci porta a riflettere sul concetto di realtà costruita, sul fatto che, come afferma Paparoni, “siamo volumi sui quali qualcuno proietta l’immagine che vuol vedere di noi”. Il trauma psicologico, la dissociazione, lo sdoppiamento delle personalità (splendidamente inquietante, a tal proposito, è Crunch, 2004, sotto a destra), sono il pane quotidiano che nutre le meravigliose creazioni (creature?) di questo multiforme artista.
In mostra è presente anche la serie Eyes, riadattata appositamente per le sale del PAC di Milano: si tratta di una prosecuzione della ricerca sul filone delle Talking Heads, ma qui la figura umana è ridotta a bulbo oculare, collocata a metà tra un Big Brother di memoria orwelliana e uno sguardo dissociato, figlio del disagio psichico. Grandi sfere sospese divengono occhi umani, le cui differenti movenze sono determinate dalla reazione delle pupille alla luce e alla visione di immagini, di diversa natura, proiettate su schermo. Il pubblico, dunque, si trova nella straniante situazione del guardare ed essere guardato, a sua volta, da un occhio che sta osservando un’altra immagine, il cui riflesso è ben visibile nell’iride. Bellissima anche la serie Peak, che esplora piccoli universi in miniatura all’interno dei quali figure umane, o parti di esse, vivono situazioni di costrizione fisica o surreali frammenti di quotidianità.
Quello di Oursler, dunque, è un universo di cyborg al contrario: non corpi umani potenziati dalla macchina, bensì corpi inerti che, grazie alle macchine, sono resi vivi e antropomorfi. Corpi che, alle macchine e alla tecnologia, devono la propria esistenza di mostri post-atomici, immondi e brutali nella loro infinita carica di umanità.
Tags: Anna Colafiglio, Crunch, Eyes, installazioni, milano, pac, recensione, Talking heads, Tony Oursler, videoarte, videoscultura,
Tony Oursler, Milano, PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea), Via Palestro 14, Milano
Fino al: 12 giugno
Curatori: Gianni Mercurio e Demetrio Paparoni.
Orari: lunedì dalle 14.30 alle 19.30; dal martedì alla domenica dalle 9.30 alle 19.30 tranne giovedì, fino alle 22.30
Ingresso: 7 euro; ridotto 5.
Info: www.mostraoursler.it
Tony Oursler: è nato nel 1957 a New York, dove vive e lavora. Padre fondatore della videoscultura, Oursler è anche membro del gruppo rock dei Poetics; ha collaborato con musicisti di fama internazionale, del calibro di David Bowie, Beck e Sonic Youth (alcune bellissime testimonianze di questi sodalizi artistici sono presenti in mostra). Le sue opere sono presenti nei maggiori musei del mondo, tra cui il MoMa e il Metropolitan Museum di New York, il parigino Centre Pompidou, la Tate Modern di Londra.
Sito ufficiale dell’artista: www.tonyoursler.com
Piccolo assaggio: il progetto interattivo Valley, presente in mostra, è disponibile all’indirizzo www.adobemuseum.com
Commenti
Invia nuovo commento