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Oggetto recensito:
Il cinema italiano sugli “anni di piombo”
di: Davide Steccanella




Sull’onda del celebre film di Margarethe Von Trotta, datato 1981, il cinema nostrano ha prodotto alcune pellicole ispirate a “gli anni di piombo”, definizione mutuata proprio da quel titolo (che per vero assumeva, nelle intenzioni della regista tedesca, un significato un pò diverso…) per identificare quel particolare periodo della nostra recente storia. Come sempre, quando si analizza un “filone”, si registrano risultati alterni, e nonostante la presenza anche di grandi firme non tutte le ciambelle sono riuscite, cinematograficamente parlando, con l’agognato…buco. Il tema del conflitto interno agli affetti familiari per la scelta, da parte di taluno, di darsi in quegli anni alla lotta armata degli “Anni di piombo” della Von Trotta, era stato ripreso sin da subito da un quasi debuttante Gianni Amelio con l’intenso “Colpire al cuore” (1982), dove un figlio quindicenne scopre la militanza del padre, stimato professore a Brera, e quindi da Giuseppe Bertolucci con “Segreti, segreti” (1984) anche se i più noti successi di pubblico saranno due pellicole degli anni duemila e parlo della bella saga “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana (che ispirerà il titolo del libro autobiografico del brigatista dissociato Valerio Morucci “La peggio gioventù”) e di “Mio fratello è figlio unico” di Daniele Luchetti (2007) che tuttavia non ritengo essere uno dei migliori lavori di questo bravo regista. Nel 1986 invece Giuseppe Ferrara aveva aperto la serie dedicata al caso Moro con l’omonimo film che, nonostante la consolidata presenza di Gian Maria Volontè (che aveva già impersonato Aldo Moro nell’assai più riuscito Todo Modo), risulta oggi molto “datato” non solo nel ritmo ma anche nella superficiale realizzazione, in molti casi francamente brutta, ed appesantita da una sceneggiatura troppo condizionata da un comunismo istituzionale militante del regista. Non molto meglio farà lo stesso Ferrara quasi dieci anni dopo con “Guido che sfidò le brigate rosse” (2005) che racconta la drammatica uccisione dell’operaio genovese Guido Rossa da parte della colonna ligure nel 1979, anche se la sceneggiatura appare questa volta un po’ più rifinita rispetto al Caso Moro. Al “filone Moro” si attingerà a più riprese anche nei successivi anni duemila prima con “Piazza delle cinque lune” (2003) del controverso Renzo Martinelli, che affoga nella più caotica “dietrologia” (senza contare un Donald Sutherland palesemente fuori parte), quindi con il politically corret “Buongiorno notte” di Marco Bellocchio (2003), liberamente tratto dal libro autobiografico “il prigioniero” scritto dalla “carceriera” di via Montalcini Anna Laura Braghetti, e presentato con tutti i crismi istituzionali alla mostra del cinema di Venezia, film che, va detto, risulta essere, cinematograficamente parlando, di gran lunga il più risuscito, ed infine con il velleitario e autoreferenziale del noto “regista-contro” Aurelio Grimaldi “Se sarà luce sarà bellissimo” (2008), titolo che peraltro “storpia” la celebre frase di chiusa (se ci fosse luce sarebbe bellissimo) della ultima lettera di Moro alla moglie Nora. Alla uccisione del giornalista Walter Tobagi è dedicato il tutto sommato “inutile” “Una fredda mattina di maggio” di Vittorio Sindoni (1990), mentre alla intera esperienza del famigerato gruppo di Prima Linea è rivolto il recente “La Prima Linea” di Renato De Maria (2009) tratto dal libro autobiografico “la miccia corta” di Sergio Segio e che è di gran lunga uno dei film meglio ben fatti su quel periodo, e non tanto per la comunque azzeccata recitazione di Scamarcio (molto più a suo agio che nel film di Luchetti) e soprattutto della bravissima Mezzogiorno nel ruolo di Susanna Ronconi, ma proprio per la struttura narrativa e per i dialoghi in molti punti illuminanti per “capire” il fenomeno armato meglio di tanti “saggi” o “trattati”. Tra il 1993 ed il 1996 escono invece tre pellicole “minori” molto belle e non a caso oggi di difficile reperimento perché fuori catalogo, e che tornano ad analizzare, seppure in modo diverso, ma altrettanto efficace, alcuni aspetti più intimistici e personali di quegli anni, e parlo di “La fine è nota” di una giovane Cristina Comencini (1993), di “La seconda volta” di Mimmo Calopresti (1995) e di “La mia generazione” della brava Wilma Labate che anni dopo firmerà anche il bellissimo e pure poco noto “Signorinaeffe” ambientato alla marcia dei 40.000 a Torino del 1980. Il tristissimo ed amaro film di Calopresti in particolare, ambientato in una Torino a sua volta grigia e cupa già di suo, tratta in maniera mirabile la impossibilità di trovare una qualsivoglia forma di comunicazione, anche a distanza di tanti anni, tra la vittima e l’attentatore, superbamente interpretati entrambi, e va ricordato, da un Nanni Moretti e una Valeria Bruni Tedeschi talmente in stato di grazia da sembrare autenticamente coinvolti in prima persona nella vicenda. Nel 2006 il regista Michele Soavi esce nello stesso anno con ben due pellicole, entrambe, tuttavia, non prive di numerosi difetti e che rappresentante una sorta di “occasione mancata”. Si tratta di “Arrivederci amore ciao” che tratta dell’impossibile reinserimento in Italia di un terrorista a suo tempo riparato all’estero mescolando insieme un po’ troppi accadimenti per una poco assemblata accoppiata formata da un bravo Alessio Boni e da un troppo caricaturale Michele Placido, e di “Attacco allo stato” che se è vero che è l’unico film ad avere descritto le ultime e più misteriose (e quindi meno “spettacolari”) brigate rosse, quelle degli omicidi D’Antona e Biagi, risente di una sceneggiatura troppo da fiction televisiva, dove il protagonista Raul Bova sembra ricalcare il tipico poliziotto seriale buono per tutte le serie televisive che da anni imperano per intrattenere le serate casalinghe delle sane famiglie italiane. Nato invece fin dalla sua origine come mero prodotto televisivo è il successivo “Il sorteggio” (2009) di Giacomo Campitoti dove un bravo Giuseppe Fiorello interpreta il ruolo di un operaio giurato obtorto collo in uno dei tanti maxi-processi al terrorismo, mentre lodevolmente dedicato a scopi divulgativi e di memento è il recentissimo film-documentario “Vittime” di Giovanna Gagliardo (2009) dove compaiono alcune toccanti interviste ai familiari delle tante vittime di quegli anni. Ho tenuto per ultimo quello che ritengo essere stato in assoluto il più bel film dedicato al fenomeno della lotta arnata in Italia e parlo dello splendido film-documentario “Il sol dell’avvenire” realizzato a due mani nel 2007 dal giornalista Roberto Fasanella e dal regista Marco Pannone e che, dopo la sua presentazione al festival di Locarno nel 2008, ove ebbe a destare non poche polemiche, in pochi anno poi avuto occasione di vedere causa un pesante boicottaggio subito da più fronti, non ultimo quello dell’attuale Ministro Bondi. Nel film, liberamente tratto dal libro autobiografico “cosa sono le BR” di Alberto Franceschini (uno dei fondatori), ed interamente girato a Reggio Emilia, uno dei principali luoghi storici della lotta partigiana comunista, si filma l’incontro, a 40 anni di distanza, tra alcuni degli ex ragazzi dell’appartamento alcuni dei quali scelsero nel 1970 la lotta armata mentre altri…no. Fondamentale per capire, soprattutto perché questo avviene dalla dirette parole dei protagonisti, la genesi di quelli che saranno in seguito definiti gli “anni di piombo” e straordinariamente apprezzabile la finale riuscita di quello che era sulla carta un progetto di notevole difficoltà per numerose, e ben spiegate nel film, ragioni.





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Commenti

Assolutamente fuori luogo il

Assolutamente fuori luogo il giudizio sui Film di Giuseppe Ferrara, che non è affatto un comunista militante ma un grande regista di un filone che in Italia si è sostanzialmente suicidato: il neorealismo. Il caso Moro andò in sala nel 1986 e lo studio delle carte da parte di Ferrara è ineccepibile a differenza di quelli successivi che, invece, falsificano la storia.

Per quanto riguarda il film "Il sol dell'avvenire" è sostanzialmente un sintetico e superficiale assemblaggio di quanto già scritto in decine di libri. Con l'aggravante che i due mentori (Giovanni Fasanella e Alberto Franceschini) sono proprio coloro che stanno tentando di riscrivere la storia delle BR l'uno sovrapponendo presunti misteri e sguazzando nella superficialità storica (con la modestia che tipicamente lo contraddistingue), l'altro falsificando le situazioni del passato nel tentativo di farsi passare per il fondatore delle BR buono e figo.

Per il resto concordo pienamente con la recensione.

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