Versione onirica dell'ultimo e incompiuto testo del grande scrittore: i registi Enzo Vetrano e Stefano Randisi si fanno trasportare dal gioco delle illusioni, affidandosi a un'interpretazione che sarebbe stata più adatta per Sei personaggi in cerca d'autore
di Nicola Arrigoni
I giganti della montagna di Enzo Vetrano e Stefano Randisi è il teatro che si disvela, è la poesia che supera la vita e resiste, malgrado tutto, malgrado quel "Io ho paura! Ho paura!" che pronuncia impietrita Diamante all’arrivo dei giganti... Il testo ultimo e incompiuto di Pirandello, portato in scena da Vetrano e Randisi, si offre come un reiterato invito a credere ai fantasmi, un invito a farci fantocci, quei fantocci che sanno far parlare i personaggi davvero e non rappresentarli solamente, quei fantocci che alla fine nel loro essere finti si dimostrano intimamente veri. Sembra di intuire che solo frequentando questa capacità di illuderci, ovvero di giocare con l’anima e con la poesia, ci possa essere una salvezza dalla brutalità dei giganti, dall’imbarbarimento dei tempi che viviamo.
Tutto, in questa versione iperteatrale, ruota intorno a Cotrone, un Enzo Vetrano grande mago di illusioni, signore della villa degli Scalognati, ma soprattutto capocomico che sa la fatica del teatro e che per questo invita la contessa Ilse a rimanere nella villa, unico luogo dove la Favola del figlio cambiato può avere la sua ragion d’essere. La messinscena si apre con il confronto fra ciò che rimane della compagnia della contessa e quegli strani esseri che abitano una villa abbandonata perché infestata. Di questo mondo Cotrone è il signore assoluto, il regista interno.
Si ha l’impressione che per tutta la prima parte di questi Giganti onirici il riferimento interpretativo vada più ai Sei personaggi in cerca di autore che al lavoro testamentario di Pirandello, un parallelismo sotteso ma che finisce – forse – col confondere le idee. Lo spettacolo, complici le luci di Maurizio Viani, si risolve nel disperato invito del mago a vivere come vere le sue illusioni, a godere della bellezza della poesia per la poesia rinunciando all’inattuale missione salvifica nel mondo, ma non alla speranza per un mondo diverso capace di illudersi, di giocare con l’impegno e la leggerezza dei bambini. A questo invito "alla resa consapevole" resiste Ilse, che per Vetrano si sdoppia in due contesse, l’una reale, l’altra apparizione nella villa, interpretate da Ester e Maria Cucinotti. Le due attrici gemelle danno corpo a un divertito e divertente gioco di specchi che tiene banco fino alla fine.
Ma soprattutto a resistere all’Aventino dell’arte e della poesia è lo stesso Vetrano, che alla fine mostra la sua doppia Ilse pronta di nuovo a proporsi al mondo, con l’altra sé morta in braccio. Ed è il teatro che ha la meglio, è la sua urgenza di verità che rimane alla fine di questo Giganti della montagna. Cotrone è colui che inventa la verità, quella verità che si disvela nell’arsenale delle apparizioni, affidandosi a una citazione spudorata della Classe morta di Kantor in cui fantocci e Scalognati sono un tutt’uno. I fantasmi nella villa escono dai corpi, in un movimento uguale e contrario allo sforzo che gli attori fanno per dare corpo ai personaggi inventati dalla poesia... Su tutto e tutti aleggia il sonno dei morti, la vita sospesa di anime che vagano in un limbo indefinito ma non per questo rassicurate.
Ed è forse questo limbo nella messinscena dei Giganti della Montagna che imprigiona Vetrano e Randisi, impedendo loro di prendere il volo e di convincere appieno, come era invece accaduto nei loro precedenti e ottimi allestimenti pirandelliani. I due registi sono affiancati da una compagnia coesa e solidale: Marika Pugliatti, Giovanni Moschella, Giuliano Brunazzi, Luigi Tabita, Antonio Lo Presti, Marghersita Smedile, Eleonora Giua e Paolo Baietta. La loro lettura, però, si fa sopraffare dal pensiero di Pirandello, che si limitano a porgere nella sua complessità affidandosi alle suggestioni visive e al racconto del consumato capocomico Cotrone.
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I giganti della montagna, di Luigi Pirandello, regia di Enzo Vetrano e Stefano Randisi
Il resto della locandina: luci di Maurizio Viani, scene di Marc’Antonio Brandolini, costumi di Mela Dell’erba, suono di Alessandro Saviozzi
Produzione: Teatro Stabile di Sardegna, Teatro degl’Incamminati, Teatro Carcano, Diablogues
Visto: al Teatro Ponchielli di Cremona
La tournée: Milano, Teatro Carcano, fino al 25 gennaio; Reggio Emilia, 26 e 26 gennaio; Novi Ligure (Al), 29 Gennaio; Lugano (Ch), 1 e 2 febbraio; Rivoli (To), 3 febbraio; Nichelino (To), 4 febbraio; Cento (Fe), 6 Febbraio; Cosenza, 12 e 13 febbraio; Napoli, dal 15 al 20 febbraio; Faenza (Ra), dal 22 al 24 febbraio; Pesaro (Pu), dal 25 al 27 febbraio; Russi (Ra), 28 febbraio; Verona, dal 1° al 6 marzo; Palermo, dal 9 al 13 marzo; Roma, dal 15 al 27 marzo
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