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TEATRO

Bentornati in Casa Gori

Le scene italiane riaccolgono il mitico testo scritto a quattro mani da Alessandro Benvenuti e Ugo Chiti nel 1987, un classico della comicità (non solo) toscana. Se l'ex Giancattivo firma ancora la regia, a vestire i panni di Giorgio Gori è ora Carlo Monni, con differenze e varianti del caso


di Igor Vazzaz

 


Sembra un paradosso, ma il teatro italiano, così come cinema e tv, ha un debito in sospeso nei confronti della Toscana in tema di comicità. Non ci riferiamo a Benigni, alfiere induscusso, né tantomeno ai “miracolati di Cecchi Gori”, la generazione dei Pieraccioni, Panariello e Conti, lanciata nel corso degli anni Novanta e che ha avuto il merito (o la colpa) di sfruttare l’onda, scadendo quasi costantemente nel cartolinismo umoristico, perpetrazione asfittica d’un modello edulcorato, standardizzato e svuotato d’ogni pregnanza.
 
Pensiamo, piuttosto, ad alcuni artisti che, per un’assurda stortura del caso, pur essendo toscani, pur lavorando con la comicità, pur partecipando, e da protagonisti, a quei pioneristici anni Settanta che furono la vera affermazione d’una nuova terra comica, hanno, di fatto, raccolto meno del loro valore artistico: in questo caso Alessandro Benvenuti e Ugo Chiti. Attautore l’uno, d’inusitata potenza scenica, con buone prove all’attivo anche dietro la cinepresa, drammaturgo e regista l’altro, capocomico di Arca Azzurra Teatro, compagnia che da trent’anni sforna piccoli gioielli in forma di spettacoli.
 
Ebbene, per questa coppia di teatranti, l’etichetta toscana s’è rivelata limite riduttivo, ostacolo commerciale che ne impedisce una distribuzione proporzionale al valore artistico: non che se ne metta in dubbio la bravura, non che manchino loro ingaggi e lavori, ma, nel nostro paese, vige un certo snobismo, commerciale e accademico, assai difficile da giustificare e tanto meno da scalfire.
 
I due sono peraltro amici da una vita e, qua arriviamo al punto, coautori di quel capolavoro, drammaturgico e scenico, che è Benvenuti in casa Gori. Monologo teatrale di lancinante potenza, questo spettacolo del 1987 rappresentò per l’attore la rinascita espressiva dopo la fine dei Giancattivi, cui faranno seguito l’ottimo Ritorno a casa Gori (1994) e il conclusivo Addio Gori, del 2007. Tre spettacoli, molti personaggi, un solo uomo in scena. Due terzi della trilogia hanno affrontata pure la traslazione filmica, in pellicole meno stupefacenti delle performance teatrali, divenute commedie più ordinarie, comunque assai valide e con un cast di bravi attori ben diretti dal Benvenuti regista.
 
benvenutiincasagori.jpgAdesso è la volta di un’ulteriore traduzione, un ritorno alla scena che tiene opportunamente conto sia degli allestimenti solistici sia degli esiti corali in celluloide. Certo, vedere Benvenuti in casa Gori a Firenze protagonista Carlo Monni è come andare all’Olimpico per una finale di coppa con in campo la Roma: si schiude il sipario, la luce illumina il volto rubizzo dell’attore di Champs sur le Bisence* e la sala si dispone al riso, accompagnando l’interprete sin nei respiri.
 
Al di là della situazione ambientale, la nuova veste dell’opera di Benvenuti e Chiti ha il merito di rispettare profondamente la natura del testo: la divertente scena iniziale, quella del montaggio dell’albero natalizio, vede un palco buio, tripartito da tre fasci di luce a isolare altrettanti personaggi, Gino (il già citato Monni), la moglie Adele (Anna Meacci) e il di lei padre Annibale (Sandro Trippi). Le voci che, nella prima realizzazione teatrale, “attraversavano” l’attore quasi a farne il medium dei vari personaggi, sono assegnate ai diversi interpreti, ma, al contempo, calate in un contesto franto, nel susseguirsi dei tagli luminosi che s’alternano a fasciare le figure. L’effetto è indovinato, ma, soprattutto, non gratuito, del tutto coerente con la partitura: ne mantiene la densità intrinseca ed evita la riduzione a commedia familiare ordinaria.
 
Quando si passa dalla vigilia al pranzo festivo, secondo una scansione che ricorda certe pièce eduardiane, da Natale in casa Cupiello a Sabato, domenica e lunedì, la felice intuizione registica è rinnovata dalla scelta di posizionare una fila di sedie parallela al proscenio, una per attore. Il piazzato luci neutro non crea l’effetto straniante del segmento precedente, ma il quadro complessivo da “prove all’italiana” dell’opera lirica conserva il senso di concerto vocale che costituisce il nucleo intimo del testo originale. Gli otto interpreti si palleggiano le battute, muovendo a grasse risate gli spettatori, ma questo, come abbiamo accennato, non sorprende: a dire la verità, la recitazione non è delle migliori, scegliere attori non esperti (escludendo i già citati) in qualche modo si paga, nondimeno lo spettacolo, sulla scorta d’una drammaturgia tra le migliori del nostro teatro recente, funziona.
 
Resta un dubbio: la farsa in forma di tragedia dei Gori si chiude con un urlo (che è, peraltro, l’idea all’origine del lavoro) non attribuibile a nessun personaggio, una catarsi dell’autore, dell’attore, a interrompere il flusso scenico, quel brulicare di esistenze e resistenze in un ordinario nucleo familiare. Come avrà tradotto il Benvenuti regista una così peculiare soluzione? Con curiosità ci approssimiamo alla chiusura e restiamo sbalorditi nell’assistere a un Monni che, al calare delle luci, apre le braccia senza emettere alcun suono. Opzione non ottimale, benché non ci vengano in mente alternative (un urlo collettivo?) realmente convincenti. Indagando, veniamo a sapere che, in realtà, Benvenuti avrebbe assegnato il grido in questione a Monni, ma l’attore, sua sponte, non lo esegue. Il che apre a varie digressioni, non aliene dal paragone calcistico iniziale: fa bene il regista (o l’allenatore) a dare disposizioni, ma chi va in scena (o in campo) è l’attore (o giocatore). E, se è vero che Benvenuti è il Gino Gori teatrale per eccellenza, al cinema, la parte appartiene a pieno diritto proprio a Carlo Monni, quindi gli va riconosciuta un’indiscussa e giusta autonomia di scelta.
 
Ed è con queste sorridenti considerazioni che accompagniamo gli applausi di Rifredi, per uno spettacolo che, pur non mondo del tutto da imprecisioni, rappresenta comunque l’ennesima e indovinata incarnazione di un grande testo.



Tags: Addio Gori, alessandro benvenuti, Benvenuti in casa Gori, Carlo Monni, Igor Vazzaz, Ritorno a casa Gori, ugo chiti,
15 Dicembre 2011

Oggetto recensito:

Benvenuti in casa Gori, di Alessandro Benvenuti e Ugo Chiti, regia di Alessandro Benvenuti

Prossimamente: Campi Bisenzio (Fi), Teatro Dante, 16-17 dicembre
 
Il resto della locandina:
Patrizio Fariselli, musiche; Maurizio Viani, disegno luci; Alessandro Ruggiero, luci; Orso Casprini, fonica; Martina Roberti, costumi; Guglielmo Visibelli, coordimento tecnico; Chiara Grazzini, aiuto regia; con Giulia Aiazzi, Vanessa De Feo, Alessio Grandi, Maura Graziani, Filippo Rak, Giuseppe Troilo; produzione Teatro Dante / Comune di Campi Bisenzio
 
Visto a: Firenze, Teatro di Rifredi, 12 novembre 2011
 
*Champs sur le Bisence: storica traduzione francofona usata da Carlo Monni per darsi un tono e indicare la propria provenienza, ossia Campi Bisenzio
 
In libreria: Alessandro Benvenuti e Ugo Chiti, Trilogia Gori. Benvenuti in casa Gori, Ritorno a casa Gori, Addio Gori, Corazzano (Pisa), Titivillus Edizioni, 2011
 
Al cinema: Benvenuti in casa Gori, di Alessandro Benvenuti, 1990; Ritorno a casa Gori di Alessandro Benvenuti, 1996

giudizio:



9
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