In Città e regioni del nuovo capitalismo, il professore statunitense Allen J. Scott ci spiega come l'avvento di una società postfordista abbia cambiato il volto dei luoghi dove viviamo e diviso il mercato del lavoro tra specializzati ad alto reddito e subordinati poco retribuiti
di Gaetano Farina

Il volto delle nostre metropoli (non solo italiane) è cambiato radicalmente. La globalizzazione (e processi che ne conseguono, come deindustrializzazione e delocalizzazione) ha trasformato le fabbriche in supermercati e ha assegnato centralità assoluta ai luoghi dell’economia cognitiva e dell’industria culturale.
In Italia, uno dei migliori esempi di queste trasformazioni è sicuramente Torino, che da città-fabbrica sta cercando, anche grazie agli ingenti investimenti per le Olimpiadi invernali del 2006, di riciclarsi in città-evento e dove quasi tutti gli stabilimenti storici della old-economy sono stati “riqualificati” in centri commerciali o in supermercati di proprietà delle più note multinazionali. Il capoluogo piemontese è diventato indubbiamente più accogliente, le aree del centro storiche e buona parte di quelle periferiche sono state riqualificate architettonicamente e a livello di offerta di servizi tanto che, a partire dal 2006, l’appeal turistico ha raggiunto punte mai toccate in precedenza.
A questo tuttavia non è corrisposto un miglioramento della qualità della vita della popolazione cittadina, anzi: il potere d’acquisto, rispetto agli anni Novanta, si è drammaticamente ridotto. Non solo per colpa dell’euro, ma soprattutto per la precarietà lavorativa. Gli insuccessi industriali della FIAT e, soprattutto, le sue delocalizzazioni, con gravi ripercussioni su tutto l’indotto, hanno messo in crisi l’economia della città, ora costretta a “inventarsi” nuove soluzioni di sopravvivenza che non possono fondarsi esclusivamente su turismo e cultura.
Con il tramonto della grande industria (almeno in Occidente), molti giovani torinesi, al pari dei propri coetanei europici, si sono buttati sulla “creatività”, nei campi della comunicazione, della cultura e dell’economia cognitiva in generale: ricerca, media, design, moda, musica, cinema, organizzazione eventi ecc.
Da poco è uscito un libro, edito da Il Mulino, che prova a descrivere e a riassumere con chiarezza come le nostre città e quelle di tutto il capitalismo occidentale stanno rispondendo alla deindustrializzazione e come si sono riorganizzate attraverso i progressi dell’informatica e del digitale. S’intitola Città e Regioni nel Nuovo Capitalismo ed è opera del professore emerito Allen J.Scott che da anni insegna geografia e politiche pubbliche nell’Università di California.
Nelle 186 pagine del suo libro, Scott individua, in particolare, un passaggio nei primi anni Ottanta dall’economia fordista ad un’economia che è stata etichettata in vari modi: “post-fordismo”, “economia della conoscenza”, “capitalismo cognitivo” o della “specializzazione flessibile”. In questa nuova fase nascono o si amplificano settori produttivi come i seguenti: finanza, servizi alla persona, spettacolo, moda, arredamento, design, comunicazione. I processi di produzione sono de-routinizzati ed i contratti di lavoro diventano sempre più flessibili: cresce, cioè, l’occupazione temporanea, part-time e freelance. Dal punto di vista occupazionale si formano, da un lato, lavoratori specializzati e semi-specializzati ad alto reddito, dall’altro “un secondo strato professionale, composto da lavoratori subordinati scarsamente retribuiti, impiegati in lavori manuali o in servizi poco qualificati quali manutenzione, settore alberghiero, cura dei bambini, pulizie, ecc.”. Queste ultime professioni si caratterizzano per la loro monotonia e ripetitività e coinvolgono, nel tempo, masse di lavoratori immigrati. E’ vero che l’autore fa riferimento alle grandi città americane, ma gran parte delle sue considerazioni possono valere o sono utili anche per la realtà europea ed i centri urbani italiani.
Scott, in verità, non drammatizza l’eclissi dell’era industriale, anzi accoglie favorevolmente il “post-fordismo” riconoscendolo come nuova opportunità di dinamismo economico e socioculturale per le regioni urbane. Per il professore americano, infatti, non è certo un male il ridimensionamento della produzione di massa come conseguenza, oltre che della saturazione di numerosi suoi mercati, della digitalizzazione e dell’affinamento di gusti, esigenze ed interessi delle classi medio-alte che beneficiano di un maggiore livello di istruzione rispetto agli anni Settanta: la popolazione cittadina ha così la possibilità di sperimentare nuove forme di economia che sfruttano maggiormente la creatività, le capacità cognitive ed intellettuali e non presuppongono una violenta concorrenza per l’abbattimento dei costi che, ancora oggi, è determinante, invece, per attività di assemblaggio e call-center. Le classi sociali mediamente istruite, infatti, danno sempre più importanza al valore simbolico intrinseco a qualsiasi prodotto o servizio e più che sulla riduzione dei costi, occorre puntare sulla qualità, sulla raffinatezza e sofisticatezza del processo creativo.
Certo, come ammette lo stesso Scott - principalmente nel capitolo Chiaroscuro: le componenti sociali e politiche del processo urbano - questo nuovo tipo di economia rischia di aggravare le disuguaglianze sociali, e questo forse è ciò che più ci interessa in riferimento al caso “Italia” dove classe politica e dirigente non è ancora riuscita a proporre scenari futuri di sviluppo. Nelle città americane, riflette invece Scott, il rischio è che questo nuovo tipo di economia disgreghi ulteriormente il ceto medio – che invece si era consolidato in epoca fordista – creando un pericoloso dislivello fra una elite ipertecnicizzata ed un esercito, sempre più vasto, di “manovali” (per lo più stranieri) utilizzati per lavori umili a bassa prezzo.
Col suo lavoro Scott dà un importante contributo agli studi di sociologia urbana – tanto che Città e Regioni del Nuovo Capitalismo è già stato adottato anche da alcune università italiane – sebbene non risolva apertamente le perplessità e le possibili obiezioni riguardo ad una sostenibilità duratura di un modello economico di questo tipo in qualsiasi sistema sociale – di primo o quarto mondo - anche in riferimento a principi di equità ed uguaglianza.
Tags: Alle J, Città e Regioni nel Nuovo Capitalismo, cognitive capitalism, Gaetano Farina, il mulino, neocapitalismo, new capitalism, recensione, Scott,
Allen J. Scott, Città e regioni del nuovo capitalismo, Il Mulino 2011, p 208, 21 euro

Commenti
Invia nuovo commento