In Cirkus Columbia di Ivica Djikic, un emigrante torna arricchito dopo la guerra nel paesino natale dell'Erzegovina. Troverà solo invidia e una follia fratricida
di Alessandra Minervini
Nell’estate del 1991, in un paesino di una Erzegovina a due passi (nel tempo) dalla guerra, ritorna dalla Germania un attempato emigrante. Si chiama Divko Buntic. E’ arrichito, scontroso. Ostenta l’altezzosità di chi ce l’ha fatta e la rabbia di chi nega a se stesso che in realtà: “Puoi fare quello che vuoi, puoi raggiungere qualsiasi obiettivo, ma tutto sarà inutile se chi ti sta intorno non lo vede". Cioè la tua famiglia. Cioè la terra in cui sei nato. La patria, poco prima che la guerra la uccidesse.
In effetti, i concittadini disconoscono i traguardi del figliol prodigo al punto da invidiarlo. Ferocemente. L’unica sicurezza, in una terra che Divka stenta a riconoscere, è Bonny: l’inseraparabile gatto nero. Nelle vene di Divka, fumose e sbronze, scorre Edgar Allan Poe: maestro della ritrattistica di personaggi irascibili e incontentabili, di dinamiche famigliari isteriche e sterilizzate solo dalla asocialità rissosa di chi sta bene ai margini, e basta.
La minuscola comunità si accorge di Divka solo quando egli stabilisce una lauta ricompensa per chi ritroverà il suo adorato gatto nero, andato misteriosamente perduto. Nel momento del bisogno (personale) gli amici si fanno in quattro (per se stessi). Cinici, ai prodromi di una guerra fratricida, gli abitanti della comunità si scannano come manguste sui serpenti. E la puzza di stolida follia – e di denaro, se ne fanno di tutti i colori pur di ritrovare il gattone uguale gettone milionario – consegna lentamente una popolazione alla guerra.
La scrittura di Ivica Djikic è molteplice, assordante e imprevedibile. Saltella dalle lettere dei dissidenti ai diari di guerra, fino alle favole popolari (e nere) come in una danza balcanica. La sua tragica ironia punge fino alla fine, senza arrestarsi in una compiacente morale della favola. La guerra, come la scrittura dell’autore, è politically uncorrect. Priva di metafore. Non lo è nemmeno il circo, una metafora. Cirkus Columbia è la dose quotidiana di purezza che ci serve, ogni giorno, per sopravvivere in un Paese dove i morti continuano a riaffiorare dalla terra e ad alimentare l’odio tra i vivi.
Tags: Alessandra Minervini, Cirkus Columbia, Edgar Allan Poe, Erzegovina, Ivica Djikic, Zandonai,
IVICA DJIKIĆ, CIRKUS COLUMBIA, ZANDONAI EDITORE, P. 128, 13,50 EURO

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