Ecco il vero libro dell'estate: si intitola La Vedova incinta, porta la firma dell'ultimo genio della narrativa inglese e parla della bella stagione di Keith Nearing, rampollo inglese rifugiato nei castelli della campagna toscana in un mondo di lussi effimeri
di Alessandra Minervini
A settembre l'estate viene a noia. Diventa fastidiosa. Si vuole solo rimpiangerla. Passarci sopra un esfoliante che tolga di dosso i segni di una stagione la cui fine è più piacevole dell'inizio. In particolare quest'anno. Che non mi pare sia stata una favola, l'estate. E' stata una tragedia che purtroppo non scandalizza più nessuno. Per quanto, a mio umile avviso, il caso di un giovane russo arrestato con l'accusa di cannibalismo ai danni di un omosessuale sia un crimine difficile da digerire. Perfino d'estate. E per quanto, c'è stato un momento, poco a ridosso di Ferragosto, in cui i giornali riportavano cronache drammatiche in almeno tre zone del mondo: Siria, Libia e Israele. E poi le minacce ambientali. Ma per fortuna non ci sono stati turisti coinvolti. La parmigiana fredda divorata sulla spiaggia non ci è andata di traverso. Nonostante le notizie che provenivano dalla cronaca politica nazionale che non ci ha risparmiato nulla. Anzi ci ha tolto tutto.
Di quest'estate quello che non voglio venga esfoliato dalla grossolanità quotidiana è una voglia matta di scandalizzarmi. Non di scandali. Ma ho voglia di scandagliare questo mondo e quell'altro in un momento di pericolosi cambiamenti. Quei cambiamenti dove non cambia nulla. Come quando si trasforma l'arredo di una casa, ma le fondamenta restano le stesse. E gli abitanti pure. Come quando si fa marcia indietro e ci si riprende il compagno di una vita, illudendosi di ritrovarlo candeggiato dalla lontananza, sperando che il tempo, fine scrittore avanguardista, possa giovare alla storia.
Mentre pensavo che mi piacerebbe partecipare alla giornata dello sdegno collettivo, una scandalizzazione (per l'occasione inventeremo questa parola che in realtà non esiste) dove tutti mostriamo quello che siamo, esseri umani fragili e ancora capaci di provare timore per esseri disumani, leggevo La vedova incinta. O forse mentre leggevo l'ultimo romanzo di Martin Amis (foto sotto) pensavo a cosa oggi mi scandalizza. Martin Amis ci è riuscito, seppure solo nella grazia narrativa di un romanzo che scortica la volgarità umana, la spolpa fino a restituirla, nuda e cruda, sotto forma di innocenza erogena. Letteratura.
La storia è ambientata in un castello della campagna toscana, con alcune puntatine a sud, nell'estate del 1970: annus mirabilis per Keith Nearing, ventenne inglese, upper class, fighetto, pensiero fisso (o fesso) sulle donne circondato da una cricca di soggettoni freak&chic dagli echi felliniani. Un gruppo di giovani che trascorrono il tempo nell'ozio tra scolature di vino e scollature divine. Nel castello la vita ruota intorno al sesso e, dunque, intorno alla giovinezza che del sesso è portatrice sana.
Lo scrittore inglese, ultimo esemplare di genio letterario e per questo imperfetto, ammette che il romanzo è autobiografico ma per scriverlo ha dovuto inventare molto. Forse tutto. Forse niente. La trama è un gioco al massacro e la vittima non è il lettore. La vittima è l'autore. E' una specie di suicidio, questo romanzo. O forse un referto medico. Una forma di eutanasia creativa. C'è tutto. La vita, la Storia, il gossip, la letteratura, la poesia, l'amore, la morte, il sesso dall'onanismo all'impotenza, la perdita di fiducia in se stessi, la mancanza di fondi fiduciari esterni, la bellezza e il suo opposto: la felicità.
C'è l'estate che il protagonista, Keith/Martin, finisce per odiare perché ad essa è concesso tutto. L'estate come la giovinezza che se ne va senza preavviso lasciando Keith solo con il più temuto dei nemici: se stesso.
I personaggi femminili sono tanti, ossessivi. Ci sono Lily, Scheherazade, Gloria, Rita: donne sull'orlo di una crisi di intenti. Femmine che si travestono da maschi impotenti. C'è la cattiveria. Che scandalo, la cattiveria. Soprattutto quando vuol dire sincerità. “Tutto ciò che segue è vero, l'Italia è vera, il castello è vero, le ragazze sono vere. Neanche i nomi sono stati cambiati, perché proteggere gli innocenti? Non c' erano innocenti. Oppure erano tutti innocenti ma impossibili da difendere”.
La vedova incinta non si legge facile. Non che la storia sia particolarmente avvincente. La prima metà del romanzo è un cazzeggio cogitabondo, un monologo del protagonista interrotto da dialoghi che confondono le tracce e si disperdono dentro sottotrame accartocciate una nell'altra. L'ultima parte, dove si svela il trauma sessuale che cambierà per sempre la vita di Keith Nearing, scorre più velocemente. Anche perché se si è arrivati fino a quel punto allora si è arrivati anche alla conclusione che Amis potrebbe scrivere l'elenco telefonico e renderlo la lettura più arrapante del Pianeta. Ogni frase è un atto di fede carnale. Ci sono espressioni lessicali (si parla della versione italiana, efficacemente tradotta da Maurizia Balmelli) talmente desuete da sembrare neologismi.
Le parole curate come progenie. A cominciare dal titolo. Vedova incinta è un'espressione che Amis ha preso in prestito dal filosofo russo Alexander Herzen: “La rivoluzione, nel momento in cui uccide un regime, senza darne vita a uno nuovo, genera una vedova incinta”, dice il saggio. La rivoluzione de La vedova incinta è quella sessuale. Che i libri di Storia chiamano liberazione sessuale e che, stando con Amis e accettando che sia nata da una vedova incinta, si è cannibalizzata trasformandosi in liberalizzazione sessuale.
Ho passato la mia estate a immaginare il volto di una vedova incinta, cercavo un volto territoriale e sentimentale nello stesso tempo, una patria nel senso di alcova dove far riposare le mie radici stanche. L'unica immagine che mi sono costruita nella testa è talmente banale che mi auguro possa scandalizzare qualcuno: l'Italia e il suo tacco scalzo. L'Italia, una vedova incinta sui generis: per non elaborare il lutto della perdita, non si accorge di essere ancora fertile.
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Martin Amis, La vedova incinta, Einaudi 2011, p 432, 22 euro
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