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POLITICA

Zapatero, il mito barcolla

Era diventato un faro in materia di solidarietà, diritti civili, dialogo tra civilità. Ma si sta dimostrando incapace di gestire la crisi economica. E la Spagna rischia il baratro


di Paola Del Vecchio


Assediato su tutti i fronti, coi sindacati in piazza contro l’aumento dell’età pensionabile a 67 anni, la Banca di Spagna e gli organismi internazionali che invocano riforme strutturali e lo scetticismo che cresce verso un patto di Stato capace di imprimere un colpo di timone all’economia alla deriva. José Luis Rodriguez Zapatero, l’uomo del nuovo corso socialista post-Aznar, della Spagna solidale dei diritti civili e del dialogo di civiltà, non è mai stato così solo. Paga il prezzo di una gestione economica che ha mostrato tutta la sua debolezza, fino a suscitare i dubbi dei mercati internazionali sulla solvibilità della Spagna, ricacciata nell’appestato club dei Pigs – Portogallo, Italia o Irlanda, Grecia e Spagna – che minano la stabilità dell’eurozona coi loro deficit fuori controllo. Quello spagnolo è schizzato all’11,7%; del Pil nel 2009; la disoccupazione ha sfondato quota 4 milioni (19,7% della popolazione, il 40% fra i giovani), i contratti a termine superano i 5 milioni; e la recessione ha fatto sprofondare il Pil al -3,6% su base annua, il peggiore dato nell’ultimo mezzo secolo. E, come se non bastasse, a differenza delle grandi economie, quella iberica non tornerà su valori positivi prima della fine del 2010, secondo le previsioni del Fmi.
 
Che cosa è accaduto in un paese cresciuto per dieci anni a ritmi da miracolo economico, che solo nel 2008 sbandierava il soprasso del Pil pro capite sull’Italia? La crisi finanziaria internazionale ha solo accelerato il brusco risveglio del gigante dai piedi d’argilla: un'illusione alimentata dalle politiche ultraliberali del Pp di Aznar, e fondata sulla speculazione edilizia e sul turismo di massa sol y playa. Più che scoppiare, la bolla immobiliare da 800mila alloggi l’anno si è sgonfiata in un autentico soufflé, che ha lasciato senza mercato mezzo milione di case costruite. E la bolla dell’impiego ha fatto la stessa fine, con l’espulsione di 2 milioni di persone dal mondo del lavoro. Per dirla con le parole di un leader sindacale dell’Ugt, la Spagna ha campato per 10 anni con una capacità installata superiore alla sua produttività. Ed ora fa i conti con la dura realtà.
 
Un bagno di realismo anche per Zapatero, un politico che si sente sinceramente di sinistra, mosso da un messianico ottimismo della volontà, ma – secondo i suoi critici – più propenso a lasciarsi guidare dalle proprie intuizioni, spesso di segno discorde e non sempre accertate, che a dar retta ai propri ministri, come Pedro Solbes, la sentinella del deficit sostituita con la più malleabile Elena Salgado. E, soprattutto, un premier poco incline all’autocritica. I 400 euro di sgravi fiscali promessi nella campagna elettorale del 2008 a tutti e senza distinzione di reddito, quando ancora definiva la recessione incombente "un rallentamento della crescita", ancora pesano sul debito pubblico. Così come il palliativo temporaneo, con scarsissimi effetti sull’occupazione, del fondo di 8 miliardi più 5 a pioggia ai comuni per riattivare le opere pubbliche. O, anche, i 50 miliardi in aiuti al settore finanziario, per l’acquisto di attivi a rischio, che non sono serviti a riaprire i rubinetti del credito per le famiglie e le piccole e medie imprese, né a ristrutturare il buco nero delle casse di deposito.
 
Vulnerabile a nuove turbolenze e indebolito da una deludente presidenza di turno della Ue sul fronte esterno, su quello interno Zapatero ha perduto lo smalto di paladino dei diritti dei lavoratori, con o senza posto di lavoro, pur avendo sacrificato la gran parte del deficit nel rinnovo dei sussidi scaduti. Con accenti profetici parla di un Nuovo Paradigma Produttivo, ma intanto non ha riformato nemmeno il sistema della formazione professionale, che in Spagna è fallimentare. Più che la fine di un mito, il tracollo della sua popolarità (scivolata al 26% nei sondaggi) nasconde l’insofferenza che si fa largo, anche nelle fila socialiste, per il Macchiavelli di Leon – come recita il titolo dell’ultima dura biografia non autorizzata scritta da José Garcia Abad - che pretende cieca fiducia senza darla, che fa continuamente appello al dialogo, ma non ascolta. Un coccodrillo dalle orecchie piccole e una "grande bocca per fare proclami", l’immagine che ne ha dato il portavoce degli indipendentisti catalani di Erc, Joan Ridao. Le riforme del mercato del lavoro e delle pensioni promesse per recuperare prestigio sui mercati hanno un costo sociale elevato e mettono a rischio la pace sociale. Di fronte ai segnali belligeranti lanciati dai sindacati in piazza, il premier socialista ha rivendicato l’identità politica del suo governo nella protezione sociale, ma ha ribadito al contempo che la Spagna è un paese sufficientemente "maturo, forte e serio, per fare oggi compiti sulle pensioni ed evitare problemi domani". E, come sempre, ha fatto appello al dialogo, intanto che cerca un patto di Stato col Partito Popolare all’opposizione su una sorta di governo di salvezza nazionale. E’ quello auspicato anche dal re Juan Carlos, che nella difficile contingenza ha rilanciato il suo ruolo di arbitro del consenso, avuto nella restaurazione democratica del ’77. L’ossigeno a Zapatero potrebbe venire di nuovo dal partito nazionalista democristiano catalano CiU, e da quello basco Pnv, con lo sguardo posto alle prossime elezioni di novembre in Catalogna.


Tags: crisi, diritti civili, josè luis zapatero, Paola Del Vecchio, pigs, spagna,
02 Marzo 2010


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