Federica Fornabaio è il nuovo fenomeno della musica "classica contemporanea": ha 25 anni, suona bene il pianoforte e sa anche dirigere un’orchestra. Ma i suoi brani non dicono nulla di nuovo
di Federico Capitoni
Ci risiamo. Ecco l’ennesimo tentativo di parlare senza avere nulla da dire. Quanti musicisti dovranno ancora produrre dischi perché si capisca che di alcuni non ce n’è proprio bisogno?
Federica Fornabaio ha 25 anni, è una ragazza carina che suona bene il pianoforte e che sa anche dirigere un’orchestra (lo ha fatto a Sanremo): chapeau. Ma ha allungato il passo e ha inciso un disco di sue composizioni per pianoforte solo. Assolutamente priva di una qualsiasi cifra stilistica, Federica suona per pura ispirazione note piacevoli, ma è il piacere della vacuità, del disimpegno new age.
È difficile parlare di questo disco per quanta poca roba interessante vi sia dentro. Eppure bisogna farlo, per spiegare a chi produce, a chi scrive, a chi ascolta questa musica, che non basta avere orecchio e saper muovere le mani per proporsi come artisti. Se bastasse, allora chiunque sarebbe autorizzato a pubblicare un qualsiasi sfogo che nasce tra le proprie mura di casa. C’è invece chi ha pudore e contiene i propri pruriti.
Nessuno vieta alla Fornabaio di fare musica, ma l’importante è non generare equivoci. Qui la si spaccia come una che fa la musica cólta, o classica contemporanea (per usare un ossimoro caro a Giovanni Allevi), e questo solo perché in possesso di un diploma di conservatorio. Che colpa ha allora la Fornabaio? Quella di non smentire le voci che manager e certa stampa fanno circolare sul proprio conto. Ammesso pure che la giovane pianista sia animata dalle più buone intenzioni, abbiamo qui a che fare con una formula compositiva vecchia: mi metto al piano, faccio sgorgare dalla mia anima melodie e accordi che tra loro stanno bene… ed ecco fatto, stavolta premo “rec”.
La prima traccia, Il giorno più bello, è dall’inizio alla fine una già sentita esplorazione della tastiera, con passaggi armonici scontati e nessun esperimento. Rassicurante. Ma con Rick Wakeman e tanti altri pianisti, negli anni ’70 e ’80 tanti bei dischi sono stati fatti su questa scia e nessuno li ha mai millantati come lavori classici, anzi ci si premuniva di accoglierli sotto l’etichetta “New Age”. E poi nessuno di quei pianisti oggi ripeterebbe l’esperienza, che è stata bella ma è scaduta.
Soprassediamo infine sulla banalità di certi titoli come Nevrasténja (le note in staccato dovrebbero suggerire questo disturbo mentale) o L’ossessione del mare (costruita su figure trite e ritrite che saranno forse ossessionanti per lei); l’unico momento appena interessante è quello di Ricordi in fuga, ma è un po’ pochino…
Viepiù la creatività della Fornabaio è persino corta: i pezzi originali, che non sono originali per niente, arrivano a nove. Gli altri due, i migliori, non sono i suoi, bensì di Ryuichi Sakamoto (Merry Christmas Mr. Lawrence) e di Yann Tiersen (La valse d’Amélie). La musica di Federica Fornabaio non è ambient, non è minimalista, non è d’avanguardia. Semplicemente non è.
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