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LIBRI

Quando il pianoforte è un dettaglio

Il gesto di pigiare i tasti per Glenn Gould non era poi così importante: lo racconta uno storico libro che raccoglie le sue conversazioni con il giornalista Jonathan Cott


di Massimo Balducci


Vengono ripubblicate da Edt le Conversazioni con Glenn Gould, comparse per la prima volta su Rolling Stone nel 1974. Un’intervista che demolisce i luoghi comuni della tecnica pianistica, del rapporto con l’incisione discografica, e definisce un homo musicalis che fu fin troppo in anticipo sul suo tempo.
“Non mi sono mai preso la briga di esercitarmi a lungo – ora quasi non lo faccio più – ma già allora non ero affatto schiavo dello strumento”. Si potrebbe dire che in questa frase c’è già tutto Glenn Gould, con la sua lontananza vertiginosa rispetto alle più incrollabili norme – scritte e non – del tradizionale interprete di musica classica. Non un semplice interprete poi, ma un pianista! Dove si è mai visto un pianista di professione (figuriamoci poi uno dei massimi del Novecento) che non passa almeno otto ore al giorno in compagnia della sua amata protuberanza fisica a tasti bianchi e neri? Se non è una follia, avrebbe almeno tutti i caratteri della spacconata. Eppure lo stesso Gould ha in serbo una spiegazione convincente: “Tendevo a imparare lo spartito lontano dal pianoforte. Lo imparavo prima tutto a memoria, e solo dopo andavo al pianoforte – e questo rappresentava, naturalmente, un altro stadio del divorzio fra componente tattile e altre manifestazioni espressive”.
 
Di passaggi come questo sono piene le Conversazioni con Glenn Gould, risultato di due lunghe telefonate avvenute fra l’artista e Jonathan Scott nel 1974. Un’intervistona dalla storia editoriale ormai piuttosto lunga: originariamente fu pubblicata in due tempi da Rolling Stone – ma conteneva soltanto una parte del materiale – quindi in forma completa nel 1984, due anni dopo la sua morte, e in Italia da Ubulibri nel 1989. Oggi esce una nuova edizione per Edt; con l’aggiunta di un’appendice (assai utile data la versatilità del personaggio) che elenca repertorio discografico, programmi radiofonici, televisivi e pure le produzioni cinematografiche.
In realtà si potrebbe dire che c’è tutto Gould quasi in ognuna delle sue frasi, ma non perché esse ci aiutino – come spesso si dice in questi casi – a “capire meglio” la sua arte. Come pianista Gould non ha certo bisogno di spiegarsi a parole, per questo bastano e avanzano i suoi dischi. Ciò che dalle sue parole vien fuori, invece, è un homo musicalis per cui il gesto “tattile” del suonare è – sembra quasi blasfemo dirlo – poco più che un dettaglio. La sua musicalità nasce e vive altrove, nella mente, e la sua attività è simile piuttosto a quella di un filosofo, dunque opposta rispetto allo stereotipo (dominante allora come oggi) del pianista caprone che magari è un genio alla tastiera ma poi diventa niente senza di essa. 
 
Certo, nel libro si parla anche delle sue incisioni, e Gould ha modo di chiarire, almeno dal suo punto di vista, alcune scelte particolarmente controverse. Per esempio, veniamo a scoprire che “Mozart è un compositore per la mano destra” e dunque è il pianista a dover provvedere di sua iniziativa ad arricchire le parti della sinistra. “Si sa, è documentabile che Mozart stesso realizzasse il basso continuo; non solo, ma egli dava per scontato che chiunque l’avrebbe fatto”.
Beh, non è detto che convinca sempre. Ma si capisce che quelle che siamo abituati a considerare le famose “stravaganze” di Gould non hanno mai nulla di extramusicale, o di bizzarro per il gusto di esserlo. Sono l’esito di un’intelligenza laterale, provocatoria, ironica, come quando risponde con disarmante semplicità alle crociate antirumore che già allora erano assai di moda (ma oggi lo sono ancora di più, vedi le divagazioni di Eco sull’argomento) fra certi intellettuali: “Proprio non capisco quelli che sono disturbati da ogni tipo di muzak (musicaccia). Io posso prendere ascensori interminabili senza essere minimamente disturbato dalla filodiffusione. Davvero, non mi importa se è musica brutta, non sono affatto selettivo”. Coniugando la solitudine con l’infomania, e con una concezione antispocchiosa dell’arte, Gould incarnava un aspetto antropologico molto più tipico della nostra epoca che della sua.


Tags: Eco, edt, glenn gould, Massimo Balducci, Mozart, pianista, rumore,
22 Dicembre 2009

Oggetto recensito:
JONATHAN COTT, CONVERSAZIONI CON GLENN GOULD, EDT 2009, P. 121, EURO 12.50
giudizio:



9
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