
Oggetto recensito:
Ari Folman aveva 18 anni quando nell''82 era volontario nell'esercito israeliano in Libano. La rimozione era d'obbligo per un ragazzo, bisognava pur riuscire a vivere. Il prezzo da pagare nei vent'anni a seguire erano stati gl'incubi notturni, cani urlanti che lo assediavano,i 26 cani (contabilità schizoide) che aveva dovuto uccidere nelle incursioni, perchè lui, che non era capace di sparare agli uomini, aveva l' incarico di far tacere gli animali. Ma si rimuove l'orrore solo guardandolo in faccia, ed è quello che Folman ha fatto, passando attraverso tutte le strade della psicoterapia,della riflessione storica, del confronto con le storie e le memorie altrui, e il massacro di Sabra e Shatila irrrompe allora in fondo al film con sequenze tragicamente reali, allineate da una fotografia "sporca" e mossa che segna il recupero doloroso della memoria e, sul piano più strettamente linguistico, dà suggestioni di grande respiro epico al film. Spicca fra tante, oltre naturalmente allo spettacolare valzer di morte con la mitraglietta impazzita (scena che da sola meriterebbe l'Oscar), la sequenza del terrorista bambino, solo contro un carro armato e, dopo,il corpicino straziato su cui scendono pietose le note di Bach. Ma tanti sono i momenti del film su cui soffermarsi a riflettere, a coglierne rimandi di significato. Tanti e insostenibili, a volte. Intenso e doloroso, un'opera di grande poesia.
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