
Oggetto recensito:
Una spiaggia vuota del litorale laziale ,bambini che scorrazzano, Gelsomina entra nel campo visivo di spalle, col suo lungo mantellaccio e la scodellina gialla di capelli in testa (è un bianco e nero, quello di Fellini, che i colori te li fa immaginare). In fondo, tra le dune e i cespugli di un tempo ormai neppure più nella memoria (anni ’50, si andava al mare se si poteva e si piantava l’ombrellone a caso su spiagge semivuote), la casupola piena di fratellini di Gelsomina, la madre, odiosissima e petulante, che l’ha venduta per diecimila lire a Zampanò e lui, enorme, selvatico, scuro, appoggiato ad un palo, che aspetta di andarsene con l’acquisto appena fatto. Gelsomina è già tutta qui, in questa prima scena, dove incredulità, dolore, e poi, all’improvviso, orgoglio e stralunata allegria passano in rapida successione nei suoi occhi tondi tondi, nei gesti da bambolina mal assemblata da un giocattolaio pazzo, nella ruota del mantello che le gira intorno e se la porta via, lungo quella strada di miseria che attraverserà con Zampanò. Gelsomina si è sentita scelta, poco importa che lui la tratti come un oggetto qualsiasi, come un sasso “anche i sassetti servono, perchè se questo è inutile, allora è inutile tutto: anche le stelle” le dirà il Matto, buffo equilibrista la cui vita è sempre "un filo teso nel vuoto",un po’ filosofo e un po’ scanzonato, sempre sorridente, anche lui sulla strada, a vivere alla giornata in quell’Italietta in ricostruzione, dove ci si divertiva con poco, in piazza,fra girovaghi e saltimbanchi, mentre Zampanò spaccava la catena coi pettorali e Gelsomina batteva sul tamburo. Ma poi aveva imparato il mestiere, Gelsomina, e suonava con la tromba quel motivo che dà un calore disperato a tutto il film e un giorno Zampanò lo sentirà nell’aria, qualcuno lo canta, e allora saprà che Gelsomina è morta, l’avevano trovata sperduta sulla spiaggia, dopo che lui l’aveva abbandonata e lei non aveva più parlato per anni, chiusa nella sua muta follia. Solo, aveva continuato a suonare quel motivo. La morte del Matto, vittima della violenza di Zampanò, aveva avvolto il mondo di Gelsomina in un involucro di silenzio, riusciva solo a ripetere “il Matto sta male” e fare goffi tentativi di fuga da quel carrozzone che non aveva mai voluto lasciare prima, perchè, nella sua piccola testa di donna-bambina, era forte la convinzione che Zampanò avesse bisogno di lei. Ora è davvero sola, è sparito quel mondo al di là delle cose che soltanto lei riusciva a vedere, come i bambini che nella strada buia sentono intorno a sè i personaggi delle favole, e il rifugio è nella sommessa pazzia che l’addormenta, mentre Zampanò fugge via, incapace di capire . Il mare, lo stesso che aveva aperto il film, ora lo chiude, e sulla riva Zampanò piange, un pianto inaspettato, o forse no, in un destino di miseria si può essere matti sorridenti che contano le stelle, o piccoli clown che suonano la tromba, o giganti troppo soli e senza speranza per riuscire ad essere umani.Ma capita anche di piangere. Sulla strada scorrono queste solitudini e per un po’ viaggiano insieme. Poi quel mare, di notte, ne cancellerà le tracce. Il mare dei ricordi infantili,i clown con i loro convogli sgangherati,la realtà che trasfigura in favola, la sfuma in lirismo senza perderne i connotati ruvidi e stranianti, Fellini, trentaquattrenne, c’è già tutto in questo film e il tema sonoro di Gelsomina ha attraversato mezzo secolo e ancora disegna nell’aria quel buffo,piccolo clown con la testa che sembra un carciofo_______La strada di Federico Fellini con Giulietta Masina, Anthony Quinn, Richard Basehart, 1954, durata 94'
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