
Oggetto recensito:
Il sound of Istanbul trasferito ad Amburgo, in un capannone di periferia, che si potrebbe dire “fa tanto tendenza” se non fosse, in realtà, tutto quello che si può permettere Zinos, il fratello buono e sfigato con l’ernia del disco di Ilias, quello in galera per furtarelli, in libertà vigilata ancora per sei mesi (alla mammina i due bravi figlioli dicono che ha un contratto a tempo indeterminato su una piattaforma petrolifera), un fratellone di quelli fatti apposta per romperti tutti i giocattoli. Nel capannone, in parte occupato da un vecchio marinaio ipocondriaco col suo barcone in restauro perenne, insolvente cronico sull’affitto e sempre con gli auricolari addosso per non sentire la musica da pazzi di Zinos, spicca una bella insegna, Soul Kitchen, e si fanno da mangiare cose inguardabili ma, sembra, mangiabili da un’affezionata clientela senza pretese, in una cucina da manuale per gli annali dell’ufficio d’igiene. Tutto questo fino all’arrivo dello chef Shayn (Birol Unel, e chi se no?), il cuoco irriducibile per cui la cucina è una missione e guai a criticarlo (in effetti i suoi piatti sono “da orgasmo”, a detta di Zinos), ma è dura portare il gusto dei clienti oltre la soglia minima del “mangiare per vivere” e l’attività rischia di fallire. Ci penserà la musica, allora, a salvare la baracca, e che musica! Spalmata lungo tutto il film, dai titoli di testa a quelli di coda, è l’anima della storia e impone una seduta, preliminare o successiva, davanti a quel Crossing the Bridge, documentario di Akin, impagabile davvero per capire l’anima di una musica che mette d’accordo oriente e occidente, e poco importa se non siamo su quel battello sul Bosforo con i BABA ZULA a bere thé alla mela o in qualche bettola di Istanbul con dell’ottimo raki, l’effetto è lo stesso (basta dare un’occhiata al soundtrack del film,impareggiabile l’arrangiamento de La Paloma) e il locale sì che diventa “di tendenza”, stavolta. Bisognerà addirittura mandare indietro la gente! Ma le cose della vita si svolgono e si riavvolgono, rotolano e si ribaltano, come le acrobatiche evoluzioni dei breakers, gli amori nascono in uno sguardo fulmineo davanti ai cocci rotti dei bicchieri nel bar (Ilias e Lucia) o muoiono sul tapis roulant dell’aeroporto da cui Zinos sta per volare a Shanghai per raggiungere l’eterea, amata Nadine, ricca ereditiera che, invece, sta tornando mano nella mano col cinese, a dimostrazione che non basta una cam installata sul Mac per far sopravvivere i sentimenti. Ma ecco che la polverina afrodisiaca di Shayn, versata in overdose sul déssert, rimetterà le cose a posto, dai problemi col fisco al palazzinaro protervo che vuole a tutti i costi costruire sull’area del locale. Perfino la schiena malandata di Zinos troverà la terapia appropriata (cose turche, è il caso di dirlo) e i suoi problemi sanitari e sentimentali saranno risolti in blocco. Certo il film è tutto da vedere e gustare, le gags si susseguono a ripetizione, il ritmo travolge, è spumeggiante, vitale, completamente schizzato, e anche a rivederlo dopo solo qualche giorno dalla prima il divertimento è lo stesso, garantito. L’unico problema è riuscire rimaner fermi sulla poltrona_________Soul Kitchen - Germania, 2009, di Fatih Akin con Moritz Bleibtreu, Birol Ünel, Wotan Wilke Möhring, Jan Fedder, Peter Lohmeyer, Dorka Gryllus, Lukas Gregorowicz, Maria Ketikidou, Catrin Striebeck, Marc Hosemann,durata 99’
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