
Oggetto recensito:
Il "Vangelo" politicamente scorretto di Ciriello Per entrare nel club dei grandi scrittori, quelli veri, quelli che non si autoproducono le loro opere con dispendiose iniziative di editoria fai-da-te, quelli che hanno avuto la capacità ed il merito di essere usciti dagli asfittici circuiti della piccola editoria locale, Marco Ciriello, 37enne valente autore irpino, già distintosi per alcune interessanti prove di letteratura d’inchiesta, come il remake di un viaggio pasoliniano, “Tutti i nomi dell’estate” (Effigie editore, 2009), e lui stesso notevole viaggiatore artefice di pregevoli reportage intorno al mondo, come il libro impreziosito dalle fotografie di Maria Vittoria Trovato, “Grande Atlantico, cargo ship stories” (edizioni Lettera Ventidue, 2010); ha scelto un racconto lungo intitolato “Il Vangelo a benzina”, da mercoledì in libreria per i tipi della prestigiosa casa editrice Bompiani diretta da Elisabetta Sgarbi. La sua scrittura, al solito profonda e riflessiva, mostrando una stupefacente elasticità di toni e registri, si cimenta stavolta in un romanzo di grande originalità, che si iscrive nel genere noir con ampie concessioni al pulp, realizzato in un particolare slang che, come ha sottolineato Davide Morganti sulle pagine de “Il Mattino”, finisce per essere una parodia del dialetto napoletano. UN ROMANZO ORIGINALE La sua originalità sta proprio nella novità e nel coraggio dell’operazione letteraria di cui Ciriello è protagonista: mettere insieme una serie di fatti ed avvenimenti che scuotono la vita di una certa parte d’Italia, come la strada elevata ad entità metafisica che è la Domiziana, microcosmo affollato da figure inquietanti della cronaca nera meridionale, la camorra casalese, le puttane africane, la rivolta degli extracomunitari, la tigre improvvidamente finita sotto le ruote dell’auto di due incauti delinquenti da macchietta, l’attore di film porno, il frate comboniano impegnato nella vana missione di evangelizzare gli indiavolati abitanti di quel girone infernale a cielo aperto, il commissario ultrafascio Valenzi, che dà il sottotitolo dell’opera e che, consumato dal cancro, dovrebbe essere l’attore principale fra le tante storie che si intrecciano; e ancora il killer slavo, Dragoslav, che tanto somiglia a Mirko Vucinic, implacabile e spietato cecchino a pagamento che sembra riemergere dai fantasmi presenti nei libri d’esordio dell’autore, “In corsa” (edizioni L’Ancora del Mediterraneo, 2006) e “Qualcuno era venuto a turbare il nostro cuore” (Pequod editore, 2006). Frullare il tutto e togliere ogni remora buonista e benpensante, ogni moralismo, per regalare al lettore uno scritto assolutamente politicamente scorretto. Dove si ride e ci si inquieta. Dentro uno lungo rap che lentamente prende, ammaliando chi legge e lo avvince pagina dopo pagina Ne viene fuori un quadro echeggiante la migliore narrativa americana “on the road”, quella “beat” per intenderci, mixata con le atmosfere nere e le descrizioni grottesche capaci di ribaltare completamente l’impostazione dei racconti alla Saviano, a cui ci ha abituato l’odierna pubblicistica sulla camorra. Ciriello, come aveva già fatto in “SanGennaroBomb” (edizioni Mephite, 2011), dimostra che si può trasformare in sarcasmo e comicità anche il dramma più sconvolgente, basta non tradire la leggerezza e il disincanto che pure animano le descrizioni forti in perfetto stile splatter del suo “Vangelo”. TRA LE RIGHE Tra le righe, poi, si intravedono diversi altri riferimenti: dall’immancabile Paco Ignacio Taibo II, nume tutelare dello scrittore irpino, innamorato del Sudamerica, alle trame fantastiche della letteratura argentina, ai tratti surreali di certe narrazioni di Osvaldo Soriano. Dai miti moderni di certe rivisitazioni di Eduardo Galeano fino ai racconti più neri del maestro Manuel Vasquez Montalban. Senza dimenticare, sullo sfondo, il migliore Ammaniti (quello degli esordi) ed i romanzi di Stefano Benni, e, per alcune concessioni, ai più datati Emilio Salgari e Curzio Malaparte. Insomma, un background di autori di alta qualità (qualcun altro l’avremo senz’altro dimenticato) finemente tritati, mangiati e metabolizzati per arrivare ad un prodotto letterario assolutamente unico nel panorama attuale italiano. Sicché la particolare discesa agli inferi che Ciriello racconta finisce per essere gradevole, sollecitando la curiosità più disinibita del lettore. È allora “umano troppo umano” l’esito del racconto lungo scritto dal nostro, facilmente aperto ad un possibile sequel, a breve scadenza su questi schermi, perché senza una conclusione definitiva e forse neanche un principio ben definito. Il noir napoletano, il neo-pulp italiano, che ha tutte le carte in regola per sfondare tra i più giovani, ha con “Il Vangelo a benzina” un nuovo esponente di rilievo.
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