
Oggetto recensito:
IMPRESIONISMO – un nuevo renacimiento La Fondazione Mapfre di Madrid invita, gratuitamente, a riflettere una volta di più sulla tappa impressionista dell’arte occidentale, dando l’eloquente titolo alla sua mostra: “IMPRESIONISMO – un nuevo renacimiento”. Amuleto simbolo dell’esposizione è la riproduzione, gigantesca, de “Le fifre” de Édouard Manet (1866), pifferaio magico del bel palazzo situado in pieno Paseo de Recoletos . Le opere esposte provengono nella totalità dal parigino Musée d’Orsay, ora chiuso per lavori, e stupiscono per l’importanza e la forza iconica che rivelano agli occhi perfino del visitatore meno erudito. Anche fosse con una sola coppia di quadri, sono presenti tutti i grandi che associamo al movimento impressionista: Manet, Renoir, Bazille, Degas, Monet, Sisley, Pissarro, Cézanne.. Una sbornia. L’occhio corre veloce e si bagna di tanta luce e intelligenza. La mostra segue con rigore i dettami del titolo. Per spiegare, didatticamente, il cambio artistico del “nuovo Rinascimento” c’è da mettere prima in chiaro qual è la situazione che si va a rompere e a forzare. Édouard Manet è presente nella prima sala con due opere emblematiche. A una parete sta “Le fifre”, davanti a lui dialoga silenzioso “Claire de lune sur le port de Boulogne” (1869). Un ritratto e una veduta notturna che rappresentano i due generi prediletti dagli artisti impressionisti, realizzati però alla maniera manettiana. Nella monumentalità del piccolo pifferaio, nelle ombre alle sue spalle, nella scelta di un soggetto altrimenti quotidiano c’è tutto Velázquez; nel notturno si vedono le future barche di Monet incontrarsi con la pittura fiamminga. Manet è un elastico che definisce la linea di sviluppo di tutta la mostra: da lui si parte e a lui si ritorna (vedremo la sorpresa dell’ultima sala). La Fundación Mapfre ha sede in quel Paseo de Recoletos il cui prolungamento porta al Prado, la pinacoteca con i tesori (tra gli altri) del Seicento spagnolo, così ammirato dallo stesso Manet. Risulta fondamentale la contestualizzazione storico-artistica del primo piano dell’esposizione, che elenca le proposte dell’arte ufficiale dei Salons parigini proprio negli anni immediatamentoi successivi allo scandalo dell’Olympia manettiana (1865). Théodule Ribot con il suo “Saint Sébastien martyr” (1865) è indiscernibile da Francisco Ribera (1591-1652) i cui santi si conservano qualche centinaio di metri più in là. In seno alla tradizione accademica s’inscrivono anche i tentavi già lampanti di forzatura dei gusti ufficiali tipici delle opere di Puvis de Chavannes e di Gustave Moreau. Ma la presenza nella mostra de “Un atelier au Batignolle” (1870) di Henri Fantin-Latour denuncia chiaramente qual è il gruppo più all’avanguardia della capitale, e quindi, del Mondo: al centro del quadro sta il Signor Manet, circondato da intellettuali quali Emile Zola e Zacharie Astruc, e i pittori Auguste Renoir, Claude Monet, Frédéric Bazille. Il riconoscimento iconico di un’importanza che l’arte ufficiale stenta a riconoscere. E’ così quasi commovente veder appesa la conversazione di tre amici che si rimandano occhiolini con tre tele : la garza che dipinge Alfred Sisley, presente nel ritratto che Bazille fa di Renoir, accanto al ritratto di quest’ultimo per mano di Renoir. Ancora forzature : Jean-François Millet e Gustave Courbet aprono la strada ad un realismo nuovo, sul cui seno esplode la meraviglia presente al secondo piano della mostra “La Famille de Jean-le-Boiteux, paysans de Plougasnou” (1876) di Jean-François Raffaelli. Le riproduzioni fotografiche del catalogo in vendita all’uscita della mostra non rendono giustizia all’acqua dei vecchi occhi del contadino al centro del quadro, lo sguardo in macchina che pone una dignità stupendamente rispettata dall’artista (accanto a lui una donna lavora ai ferri, ricorda quel “Arrangement en gris et noir n°1, dit aussi Portrait de la mère de l'artiste” -1871- di James Whistler visto al piano di sotto, giocato, appunto, tra il grigio e il nero e gli echi, ancora, di Velázquez). In piedi un giovane tagliato arbitrariamente a metà ci ricorda che il quadro ha nuovi formati e nuovi confini (da rompere), inevitabile quindi la lezione di Edgar Degas presente pochi metri dopo con un'altra icona: “Classe de danse” (1871-1874) e i suoi cavalli che passeggiano elegantemente all’ippodromo. L’esposizione lascia l’intento didattico nelle ultime due sale che esplodono dei paesaggi più luminosi e liquidi, vaporosi, umidi e cangianti delle opere di Sisley e Renoir, tra gli altri. Ma è il momento per il trionfo di Claude Monet, e del treno della modernità che entra raggiante ne “La Gare Saint-Lazare” (1877). E’ il trionfo del suo occhio che vede ancor più in là del momento artistico che sta vivendo: “Vétheuil depuis Lavacourt” (1879) potrebbe prestarsi al gioco di Kandisky ed essere capovolto e liberato dall’appiglio con il reale (davanti a lui un altro pezzo da novanta in tal senso: “La maison du pendu, Auvers- sur-Oise”(1873) di Cézanne!). Ultimo quadro della mostra a salutarci è uno splendido ritratto manettiano: Nina de Callias come “Dame aux éventails”(1873), frivolamente adagiata sul divano porta con sé la Maja del Prado e l’Olympia restata a Parigi; i suoi ventagli dispiegati in tutto il quadro strizzano l’occhio alla sede spagnola della mostra e omaggiano l’arte stessa nazionale che tanto aveva fascinato lui, il primo non-vero impressionista: Édouard Manet. Orario: lunedì 14-20, mart-sab 10-20, dom e festivi 11-19 tel. +34 91 581 61 00 visite guidate mart 12-19
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