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Una favola moderna è stata raccontata, attraverso il linguaggio della danza, al Teatro San Carlo di Napoli: è La Bella Addormentata di Dominic Walsh, in cartellone dal 9 al 15 febbraio. Rilettura in chiave contemporanea della celeberrima favola di Charles Perrault, la Bella di Walsh si presenta in una veste decisamente rivoluzionaria rispetto alla coreografia classica di Marius Petipa.
Dimentichiamoci di principesse, fate e streghe. Aurora qui è un’adolescente dei giorni nostri, figlia di genitori che hanno superato il problema dell’infertilità grazie all’aiuto di un certo Dott. Laq. Carabosse è una donna mondana, frivola ed egoista, moglie trascurata del Dott. Laq. Offesa per non essere stata invitata al battesimo della piccola Aurora, Carabosse si vendica anni dopo sulla piccina ormai divenuta una giovinetta che si affaccia alla vita. La donna conquista la fiducia della ragazza e la induce a frequentare cattive compagnie. Aurora allora s’invaghisce di un ragazzo scapestrato che la introduce nel mondo delle droghe. Già malata di narcolessia, Aurora non regge alla combinazione delle sostanze stupefacenti con le cure per la sua malattia ed entra in coma. Sarà ancora una volta il generoso Dott. Laq ad andare in aiuto ai due disperati genitori, mettendosi alla ricerca di un uomo che possa rendere Aurora felice e appagata. Quest’uomo è Desiré, un impiegato d’ufficio, che con un bacio risveglia Aurora dal coma. I due convolano a nozze e dalla loro unione nascono due gemelli. Carabosse, sconfitta, resta in ombra in fondo alla scena a rappresentare il ricordo delle avversità del passato.
Walsh affronta con garbo e un pizzico di humor temi scottanti come il dramma dell’infertilità, le turbolenze dell’adolescenza, l’incubo della droga. Il sonno-coma è la metafora di un viaggio nel subconscio, alla ricerca della propria identità. È in questo stato sospeso fra la vita e la morte che Aurora incontra Desiré, l’uomo che con il suo affetto la riconduce a se stessa e le permette di rinascere a vita nuova. La favola è il pretesto per ricordare che l’amore è l’unico mezzo per combattere e vincere le battaglie dell’esistenza.
Seppur un po’ confuso e affrettato nel secondo atto, questo balletto lancia lo statunitense Dominic Walsh tra le stelle del firmamento coreografico internazionale, avvicinandolo a geni del calibro di Mats Ek. Ottima prova del Corpo di Ballo sancarliano che a una leggera mancanza di sincronismo ha compensato con un’eccellente pantomima. Tra i protagonisti si sono distinti per pulizia tecnica, bellezza di linee e straordinaria espressività: una convincente Roberta De Intinis, una splendida Corona Paone e una superba Alessandra Veronetti; il leggiadro Alessandro Macario, il fascinoso Edmundo Tucci e l’esilarante Marco Spizzica tra le file maschili. La scenografia grigia e asettica, firmata da Giuliano Spinelli, si è perfettamente sposata con la trama cupa della storia. Degni di nota i costumi, molto glamours, creati da Giusi Giustino. La musica, quella eterna di Cajkovskij, è stata eseguita dall’Orchestra del Teatro San Carlo, diretta da Nicolas Brochot.
Il pubblico del Massimo napoletano ha espresso il proprio gradimento attraverso applausi calorosi, anche se non è mancata qualche perplessità da parte di chi ancora non è “pronto” ai grandi classici rivisitati.
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