
Oggetto recensito:
In Lacrimae Rerum Slavoj Zizek, filosofo-psicanalista sloveno, affronta con sguardo dotto, a tratti troppo, l'analisi sotterranea della trilogia Matrix. Il trittico dei fratelli Wachowski ha generato tutta una serie di metafore sulla nostra esistenza che può essere annoverato sicuramente nella categoria di film storici: i sostenitori della Scuola di Francoforte vedono nel film un'incarnazione della Kulturindustrie, cioè del Capitale che assume il controllo totale e ci usa come fonte di energia; i seguaci della New Age vedono il nostro mondo come miraggio controllato da un'unica mente globale, quella del www, e poi ancora complottismo, impero della realtà virtuale (che è quello che personalmente mi attrae di più). Questa serie di interpretazione può arrivare fino al mito della caverna di Platone: gli essere umani prigionieri,costretti a guardare l'illusoria rappresentazione di se stessi, credendo che quella sia la realtà. La differenza che che alcuni di questi prigionieri riescono a scappare, nel film, e quel che trovano fuori non è una terra splendente e illuminata ma un "desolato deserto del reale". Lo stesso concetto era già stato reso sullo schermo da un film di Peter Weir del 1998, The Truman Show, in cui Jim Carrey interpreta un impiegato di provincia che scopre di essere il protagonista di programma televisivo in onda 24 ore su 24 e che la sua vita non è che un prodotto commerciale in cui lavorano milioni di attori e comparse. Un film sulla messainscena. Altri esempi precursori sono Viaggio senza Fine di Brian Aldiss in cui una tribù vive in una foresta all'interno di un'astronave senza sapere cosa ci sia al di fuori e Le ultime 36 ore George Seaton, in cui i tedeschi costruiscono un falso ospedale americano per far parlare un ufficiale catturato e senza memoria in seguito a un'esplosione.
Ma Matrix altro non sarebbe, e questo anche applicando la teoria lacaniana quando parla di Sostanza Sociale, che la società stessa, ovvero tutto ciò a causa del quale il soggetto non controlla mai pienamente le proprie azioni e il risultato è sempre qualcosa di diverso rispetto a ciò che si immaginava. Questa Sostanza, unita alla digitalizzazione delle nostre esistenze che altro non sono che lunghe stringhe facilmente manovrabili, ha fornito uno punto di vista paranoico di una società che si rivolta contro i propri creatori. Tutto è possibile. Come l'esperimento di ricreare il Big Bang all'interno dell'accelleratore di particelle al Cern: ricreare le condizioni per le quali si è sviluppata la vita universale significherebbe ricreare un buco nero capace di riassorbire tutta la materia. Dar vita ad un universo significa distruggere quello precedente e creare la macchina apocalittica capace di fare tutto ciò è il nostro destino. Certo, la distruzione sarebbe la prova che la teoria sperimentata è corretta. Che l'autodistruzione sia una caratteristica innata dell'essere umano lo dice anche l'agente Smith nel film quando spiega: "Ti sei mai fermato un attimo ad osservarla? Ad ammirare la sua bellezza? La sua genialità? Miliardi di persone che vivono le proprie vite, inconsapevoli. Tu sapevi che la prima Matrix era stata progettata per essere un mondo umano ideale? Dove non si soffriva, e dove erano felici tutti quanti, e contenti. Fu un disastro. Nessuno si adattò a quel programma, andarono perduti interi raccolti. Tra noi ci fu chi pensò a... ad errori nel linguaggio di programmazione nel descrivere il vostro mondo ideale, ma io ritengo che, in quanto specie, il genere umano riconosca come propria una realtà di miseria e di sofferenza. Quello del mondo ideale era un sogno dal quale il vostro primitivo cervello cercava, si sforzava, di liberarsi. Ecco perché poi Matrix è stata riprogettata così. All'apice della vostra civiltà".
Quindi l'imperfezione diventa segno della nostra virtualità ma allo stesso tempo della nostra realtà. L'agente Smith rappresenta lo psicanalista e ci insegna una grande verità della natura umana: l'unico modo per percepire qualcosa come reale, per noi essere umani, è trovarsi di fronte a un ostacolo insormontabile. O come dice Zizek: "la realtà è, in definitiva, ciò che resiste".
Gli umani, quindi, immersi nella placenta della macchina forniscono la propria energia vitale per far funzionare il crowd-farm-matrix sistema. La macchina produce un mondo virtuale in cui tutti gli essere umani vivono la propria esperienza personale. Ma perché complicarsi la vita? Perché non immergere oguno nella sua vita sognata artificialmente? Perché coordinare un mondo fatto di tante esperienze diverse? Per Zizek la risposta è semplice: la Matrice si nutre di jouissance, di godimento. Solo attraverso l'incontro fra esseri umani, i loro rapporti sessuali, è possibile trarre energia. Un corpo senza questi comportamenti sarebbe un corpo morto e l'attività cerebrale senza corpo non produrrebbe senso. Salta agli occhi l'analogia con Far Bene l'Amore di Pasquale Festa Campanile, film del 1975, in cui il mondo, a corto di fonti energetiche, scopre che fare l'amore sprigiona una quantità enorme di energia, a patto di non essere innamorati. Persino la Chiesa cambia posizione: l'amore è peccato, il sesso va bene se fatto senza innamoramento.
Nei due film successivi le cose si complicano mettendo in dubbio il funzionamento dell'intera teoria.
Alla fine di Matrix Reloaded sorge il dubbio se la rivolta organizzata dai "risvegliati" possa distruggere effettivamente la Matrice o se tale rivolta non sia programmata dalla Matrice stessa. Quelli liberi dal giogo della macchina sono liberi di scegliere o no? Come ha fatto Neo a fermare le macchine a forma di calamaro fuori dalla realtà virtuale creata da Matrix, dove invece può compiere miracoli, sfidare la gravità, evitare le pallottole e così via? Cosa vuole dirci questa illogica azione? Che in realtà tutto fa parte della Matrice?
Tutto il secondo capitolo verte intorno alla necessità di 'rientrare' nella matrice, cioè nella realtà virtuale, per poterla annientare. Non sarebbe più facile distruggerla dall'esterno, dove il controllo della realtà reale è pari fra umani e macchine? Forse sarebbe stata una noiosissima storia di combrattimento, la solita, fra umani contro le macchine. Invece la tecnologia ci permette di combattere contro le macchine, l'agente Smith, dal suo interno.
Matrix Revolutions avrebbe dovuto dare una risposta a tutto questo. Avrebbe dovuto sciogliere il dilemma. E invece è stato un fiasco, cioè non ha partorito nessuna risposta orginale. In una parola non è stato all'altezza degli interrogativi sollevati dal primo capitolo. Oppure questo fallimento, l'impossibilità di dare un epilogo narrativo è forse un segnale più grave di un fallimento sociale reale?
I poteri 'magici' di Neo e Smith ormai si estendono anche a tutta la realtà del reale e non sono più confinati a quella virtuale. Non è forse, si interroga acutamente Zizek, come se in un romanzo giallo alla fine, dopo una complicata trama di indizi, si scoprisse che l'assasino ha ucciso la vittima grazie a dei poteri magici che andavano oltre le leggi della nostra realtà? Non ci santiremmo presi in giro?
Alla fine del film, poi, l'Oracolo (femminile) e l'Architetto (maschile) si incontrano per sigliare il patto finale. Ma perché questo incontro avviene all'interno della realtà immaginata? I due soggetti altro non sono che programmi, quindi i personaggi che vediamo altro non sono che le loro interfacce, le loro immagini virtuali. Altrimenti, come tutti i computer, si scambierebbero i dati in byte, attraverso la rete. Qui la logica predominante è quella dell'immagine.
La soluzione è parziale, ancora in fase di realizzazione. L'Architetto (colui che gestisce la macchina) non solo promette che le macchine non attaccheranno mai più gli umani fuori dalla macchina ma che i 'dormienti' potranno svegliarsi quando lo vorranno. Ma come si farà a scegliere da che parte stare? E' proprio quello che sta succedendo ora. La libertà sullo sfondo esiste, si vede, ma nessuno è in grado di viverla e per questo decidiamo di vivere una realtà reale, per non sentire il peso di quella libertà che ci chiama da lontano ma che noi, inetti, non riusciamo ad accogliere.
Ma Zizek conclude invece con una metafora politica: "Chi è davvero Smith? Una sorta di allegoria delle forze fasciste: un programma cattivo che impazzisce, diventa autonomo e minaccia la Matrice. Dunque la lezione del film è quella di una lotta al fascismo: dei brutali criminali sviluppati dal Capitale per controllare i lavoratori (dalla Matrice per controllare gli umani) sfuggono dal controllo e la Matrice deve arruolare degli umani per combatterli, così come il capitale liberale ha dovuto chiedere l'aiuto dei comunisti, suoi nemici mortali, per sconfiggere il fascismo".
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