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Oggetto recensito:
HUGO CABRET
di: Il meccanidmo rotto di Hugo Cabret




Il meccanismo rotto di Hugo Cabret Hugo Cabret è un bambino. Ha un nome così importante che nessuno si aspetterebbe il viso emaciato e gli occhi sgranati color cielo di un bambino. Ma è proprio quello che è. In una Parigi che sembra un sogno, tra luci e neve a piccoli fiocchi, e l’interno di una stazione lucente e viva come e più della città a cui appartiene, in un secolo lontano, e a cavallo delle due terribili guerre del Novecento, i suoi pantaloni corti e la sua figura esile scrutano la frenesia del mondo e i suoi piccoli segreti dagli interni degli orologi della stazione. E’ un orfano, in un mondo ed un periodo storico in cui erano come cani randagi, gli orfani, bambini da catturare e rinchiudere; è solo, perchè nessuno si può occupare di lui; vive nascosto negli ingranaggi degli orologi della stazione; come la sua famiglia di orologiai per tradizione gli ha insegnato, ne conosce i meccanismi e li fa funzionare; vive per ricostruire l’unica cosa che del padre gli è rimasta: un automa dal meccanismo bloccato. Nella ricerca del suo funzionamento si scontra con il mondo degli adulti, duro e insensibile alla sua tragedia, di bambino senza l’amore di un padre perso. E poi la vita si apre, in tutta la sua durezza e la sua straordinarietà, e gli farà incontrare un uomo chiuso e triste, sconvolto da quel bambino, dal taccuino che il bambino ha in tasca, da un passato che sembrava morto per sempre; una ragazzina dolce, appassionata, orfana anch’essa ma raccolta e amata, ingorda di avventura e di stupore, in grado di riconoscere i suoi simili e di crederci; e poi molti altri, personaggi disegnati dall’epoca e evidentemente caricati di un’umanità perduta; l’ispettore ferroviario, chiuso nella sua ferita di guerra, la fioraia di dolcezza chapliniana, la proprietaria del bistrot, consapevole che la sua mezza età ha bisogno di compagnia, in grado di insegnare compassione. La tenacia del bambino e la disperazione che gli dà la forza di affrontare con coraggio ciò che sembra invincibile, lo portano al centro di un mistero. Che sarà risolto, svelato in un finale che sorride, e che fa sorridere (anche commuovere). Il bambino dice, alla sua amica orfana, che il mondo guardato dall’alto di uno degli orologi della stazione, gli sembra un enorme meccanismo; a lui piace aggiustare le cose; le cose per funzionare hanno bisogno dei pezzi giusti, ogni pezzo ha un suo significato. Così, pensa, se io sono qui, sono un pezzo del meccanismo e a qualcosa devo servire. E’ il suo tributo enorme alla Vita, a quella disperata ricerca di senso comune, che lui ha perso nel momento in cui ha perso il padre. Così, aggiustare il meccanismo dell’automa, non ha altra trasposizione che la ricerca di un perchè alla sua esistenza sola. L’unico modo per capire perchè è successo. L’automa funzionante ha un messaggio, e da quel messaggio si svela una storia che salva, e che aggiusta il “meccanismo rotto” di un altro essere umano. Attraverso questo film, che è una grande tributo al Cinema, all’immaginazione e ai sogni che il cinema crea e provoca, Scorsese ricostruisce un’epoca, quella del film muto, da cui, a dispetto delle previsioni dei Fratelli Lumiere, tutto è partito e non è ancora finito. Perchè alla fine, senza la voglia di immaginare e sognare, si muore ancora prima di esserlo veramente. Ps: sarà poi una visione personale, legata alle mie passioni, ma è memorabile la figura del Libraio ed il suo negozio, l’amore sprigionato per la scrittura, come viaggio irrinunciabile verso l’ignoto ed il sogno. Scorsese, insomma, non ci delude, riuscendo a non farci accorgere che stiamo guardando un film in tridimensione, dando profondità e più dimensioni ad un’epoca antica.





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