
Oggetto recensito:
IL QUARTO MOSTRO
HANNO TUTTI RAGIONE , di Paolo Sorrentino , Feltrinelli , marzo 2010 , 318 pagine
Per onestà , pre-mettiamo una prima carta sul tavolo . Riteniamo Sorrentino il miglior regista italiano degli ultimi....diciamo.. vent’anni . Caliamone una seconda , conseguenza della prima . Dai tanto amati e ammirati ci si aspetta quasi sempre troppo , rimanendo delusi , oppure , al contrario , si rischia un eccesso di indulgenza , come nelle fedi calcistiche . Infine , la terza carta . Consigliamo a tutti la lettura di questo libro . Ad un patto : che dimentichino alcune sciagurate similitudini leggiucchiate qua e là - poche ancora , perchè il testo è appena uscito - che lo raffrontano ad altri scrittori che non c’entrano assolutamente niente , primo fra tutti niente meno che Céline . Invece Sorrentino è Sorrentino fin dal suo esordio , pregio tutt’altro che trascurabile . E se proprio dovessimo azzardare non tanto un apparentamento , ma un mood , potremmo fare il nome del Diego De Silva di Non avevo capito niente . E non per la napoletanità linguistica , intrisa di malaffare , nè per l’umorismo , perchè De Silva fa ridere , Sorrentino invece sollecita continuamente due alterazioni dell’umorismo : l’ironia e il sarcasmo . Piuttosto , il paragone sta in piedi perchè entrambi i protagonisti dei rispettivi romanzi agiscono monologando ; e incessantemente , con se stessi e con gli altri , sottolineano tutte le interazioni possibili fra il proprio gioco di stare al mondo e quello di coloro che incontrano . Srotolando nel contempo un continuo filo d’Arianna filosofale , che ci guida verso ogni possibile interpretazione dei grandi e piccoli temi dell’esistere . Da parte di personaggi acutissimi ed eccentrici , perciò saggiamente convinti di brancolare nel buio , guidati esclusivamente dalle loro pulsioni e dai loro vizi . Dunque Tony Pagoda , il protagonista . Un incrocio melodico tra Frank Sinatra e Little Tony , prediletto da due categorie : gli emigrati nostalgici e i camorristi che si commuovono di fronte al loro univoco concetto di arte . Cocainomane al limite del verosimile , donnaiolo ipertrofico e verosimilissimo , scafato e ignorante , perfido ma con il cuore in mano , schiavo solo di se stesso , ma capace di generosità , con una vitalità indomabile , che è una forma di scaramanzia nei confronti sia della morte che del declino della propria fama . Perchè , a metà del racconto , il nostro cambia improvvisamente registro , guidato dal suo umoralissimo cinismo . E sparisce prima che gli altri lo dimentichino come numero uno , o anche solamente lo scoprano come quella controfigura di se stesso che ogni tanto gli sembra di essere . Atarassico ossessionato dagli scarafaggi , impegnato allo spasimo nel riposarsi da se stesso negandosi i vizi del passato , Tony approda a Manaus , incontrando un altro mostro nel senso latino di prodigio . Trattasi di Alberto Ratto , altra felicissima invenzione caratteriale , unico vivente che Pagoda consideri con commozione del tutto superiore a se stesso . E motore protagonista di dettagli come di scene assolutamente indimenticabili , fino al doppio coup de théatre che riporterà Pagoda in Italia . Per ricominciare una carriera e terminare una vita . Mentre il paese si sfalda , e la macchina da presa mentale dell’autore si sposta dal protagonista al declino del paese , filigranando personaggi apparentemente troppo riconoscibili , e apparentando al degrado linguistico , che aggettiva tutto come figo , il declino morale sociale ed economico di una nazione , dove i mostri sono tanti, come clonati ,e di infimo livello . Giunti alla fine di un libro ripartito in vari capitoli , ognuno col sottotitolo di una canzone , e diviso sostanzialmente in tre parti che vanno perdendo di brillantezza e consequenzialità verso la fine , come se la cava lo scrittore rispetto al regista ? Assolutamente bene , dimostrando di saper egregiamente maneggiare mezzi espressivi diversi , riuscendo a sostituire le immagini con la concitazione ossessiva di un linguaggio corrente e aulico, espresso in mitragliate di frasi corte , che spesso vanno oltre il ragionamento e la descrizione per cortocircuitarsi in poesia . E aggiungendo e accumulando inventiva ed intelligenza ad atmosfere , personaggi , momenti , snodi filosofici non diversamente dai film . Che tutti rispondono alla sfida di rappresentare il difficile se non l’impossibile , secondo immagini ed invenzioni originalissime , chiuse all’interno di sviluppi narrativi che hanno la rigorosità dei teoremi . Costruendo non solo storie come orologi , ma anche personaggi limite impossibili da dimenticare : dall’anaffettivo protagonista de Le conseguenze dell’amore , al bieco e machiavellico usuraio de L’amico di famiglia , fino al doppio salto mortale del mistero andreottiano ne Il divo . Cui si aggiunge , dopo questa invidiabile galleria , il quarto mostro di Toni Pagoda . Che ha due sole vere pecche :la concezione organizzativa del disegno al contorno - un po' sbavata- e la cornice che lo inquadra : non dotata dell'intaglio disinvolto ,sinuoso e di precisione millimetrica delle altre tre.
L'ultima frase del ringraziamento dell'autore , chè sarebbe impossibile spigolare dal libro :.." desidero ringraziare i miei figli e mia moglie,che sono i motori e la guida della mia vita , lasciandomi così il lusso di crogiolarmi nel facile , impagabile ruolo del portapacchi che si gode il venticello sul tetto.
Commenti
Invia nuovo commento