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Oggetto recensito:
Elias Canetti, “genio misterioso e affabile”.
di: Paola Di Giuseppe




Elias Canetti, “genio misterioso e affabile”.

Così lo definiva Claudio Magris sul Corriere nel lontano ’81, quando la prima edizione completa dell’autobiografia vide la luce in Italia e si cominciò a conoscerne l’autore in modo più capillare. La singolare cortina di silenzio sull’opera di un uomo che ha attraversato l’intero secolo (nato nel 1905, è morto nel 1994) si può spiegare in vari modi. Probabilmente molto è dipeso dalla difficoltà di inquadrare la sua fisionomia entro una sola formula, tante sono le definizioni che è possibile attribuirgli (saggista, romanziere, drammaturgo, ma anche aforista, antropologo culturale, autobiografo). Forse, però, non è veramente la sua polimorfia a creare il problema, quanto l’impossibilità di collocarlo in maniera netta all’interno di una di quelle correnti che hanno caratterizzato in vario modo le vicende e gli ambienti della cultura del ‘900. Può anche essere indicativo, almeno per capire una parte delle ragioni di questa specie di ostracismo, riportare il giudizio di Annemarie Auer che, nel’69, dalle colonne di “Sinn und Form”, rivista tedesco-orientale, criticava il fatto che Canetti, così acuto nell’indagare i meccanismi del potere e della sopraffazione, non abbia fatto una precisa scelta di campo di carattere marxista e sia rimasto “un idealista della più bell’acqua”. Conoscere Canetti senza leggere il trittico autobiografico ( La lingua salvata, Il frutto del fuoco e Il gioco degli occhi ) sarebbe ignorare aspetti della genesi profonda della sua opera, oltre che privarsi di una testimonianza preziosa e del fascino di una narrazione appassionata e limpida che, pur rimanendo sempre racconto privato, traccia i connotati essenziali di una vicenda culturale che ha segnato profondamente l’Europa del ventesimo secolo. Da Rustschuk in Bulgaria, dove nasce da antica famiglia di ebrei sefarditi riparata nell’impero ottomano dopo l’espulsione dalla Spagna nel 1492, a Manchester e poi a Vienna, dove matura la sua esperienza di scrittore nei caffè letterari, a contatto con uomini e idee di quello che Karl Kraus chiamò “laboratorio sperimentale della fine del mondo”, fino all’esilio volontario dopo l’Anschluss, attraverso un racconto di formazione Canetti racconta la storia di un’epoca, il crescere di idee e il manifestarsi fin dalle origini di fenomeni che oggi si offrono a tutte le analisi storiografiche, ma che allora Canetti guardò fibrillare, crescere ed esplodere. Il lavoro di un’intera vita, nato nella stagione viennese, ha accompagnato senza interruzione questo prezioso testimone del nostro tempo, che ha avvertito il suo impegno di scrittore come missione da svolgere fra gli uomini perché “Non può essere compito dello scrittore lasciare l’umanità in balìa della morte […] Sarà suo vanto opporre resistenza ai banditori del nulla, che sempre più numerosi allignano tra i letterati e suo vanto combatterli con mezzi diversi dai loro”. E dunque va ricordata l’opera più impegnativa della vita di Canetti, Massa e potere, una ricerca durata quarant’anni sui meccanismi di formazione e movimento della massa, un’opera che spazia fra antropologia, sociologia e psicologia senza, però, offrirsi a nessuna classificazione netta; viene esplorato fino in fondo il concetto di massa, mettendone a fuoco fenomenologia e manifestazioni storiche, delineando i caratteri del rapporto tra la massa e i meccanismi del potere e della sopraffazione. Nel tempo l’opera ha superato l’istanza iniziale (capire la fisionomia di un fenomeno europeo degli anni venti) per divenire qualcosa di molto più ampio e articolato, e la “massa”, segno distintivo delle società moderne, si è configurata come costante delle società umane di tutti i tempi. Le sue ricerche e le riflessioni che ne sono conseguite hanno detto qualcosa di molto importante sulle caratteristiche del fenomeno, e l’aver posto l’accento sulla stretta correlazione fra questa e il potere ha conferito alla sua opera la qualità di monito per un risveglio delle coscienze:“Ogni nuovo potere che sorge ai nostri giorni si ciba deliberatamente della massa”. Un profeta? Chissà, certo, per chi lo legge, un “genio misterioso e affabile”.





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