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Oggetto recensito:
DONNE SENZA UOMINI
di: Marinella Doriguzzi Bozzo




...CONTINUANDO A PARLARE AL FEMMINILE : UNA RESTAURAZIONE

DONNE SENZA UOMINI , di Shirin Neshat, Shoja Azari . Con Pegah Feridoni , Arita Shahrzad , Shabnam Toloui ,Orsolya Toth , David Akhavan . Germania , Austria ,Francia ,2009 . 95 minuti

Shirin Neshat è una bella ed elegante donna che dimostra molto meno dei suoi aggraziatissimi 57 anni . In coppia con il marito -coregista e sceneggiatore della pellicola- l’abbiamo vista alla Noire art gallery di Torino , durante la mostra dedicata alle sue fotografie e alla sua videoarte , subito dopo l’attribuzione del Leone d’argento al suo primo film , da noi mancato per una serie di fortuite circostanze al festival cinematografico di Venezia del 2009 . Incuriositi dal suo personaggio e dai corpi delle sue modelle , squisitamente tatuati dalla sinuosa grafia persiana , abbiamo rimediato approfittando della recentissima distribuzione del film nelle sale italiane , cercando di raffrontare in parallelo la pellicola con le suggestioni delle sue altre espressioni artistiche , molte delle quali attualmente visibili su You tube* . Diciamo subito che la tematica della soggezione femminile ai dictat del maschio è attualissima ; ma la regista sposta la storia agli anni 51-53 , quando in Iran Mossadeq diventa primo ministro , opponendosi al rinnovo delle concessioni petrolifere agli Inglesi ; e incrociando altresì la storia italiana mediante le acquisizioni dirette di petrolio da parte di Mattei , intenzionato ad ingrandire e svincolare l’ENI dallo strapotere delle sette sorelle . Sullo sfondo lo scià Reza Pahlevi , da noi più noto per le sue complesse e lacrimevoli vicende sentimental dinastiche . Ma l’inquadramento storico è in realtà un pretesto per fare un salto indietro , sfruttando pasolinianamente la crostosa povertà dei luoghi per virarli all'artistico . Una sola delle quattro donne protagoniste , infatti , è coinvolta dai moti di piazza dell’epoca . Le altre tre tentano di sfuggire all'annichilimento delle loro persone una divorziando , l’altra evitando un matrimonio agognato a causa di uno stupro , la terza sfuggendo alla prostituzione per approdare prima presso le altre e poi naufragare nella nevrosi e nella morte . L’esile storia lineare gira ossimoricamente in tondo con qualche flash back che oggi non può mai mancare , pena la pubblica gogna , e ricalca il modello di matrice altmaniana relativo all’incrociarsi dei destini principali attraverso personaggi secondari ricorrenti , che li impaniano alla fine in una unica rete esistenziale . La voce narrante fuori campo permette al racconto di procedere , concedendo nel contempo alla vena artistica di espandersi in inquadrature di antica bellezza , modernamente rivisitate secondo un’ottica minimalista .Con un elegantissimo sgranarsi di turchini e di grigi,assediati dai bitumi chiari e scuri del beige e del nero . E con frequenti citazioni visive dal Dreyer di Ordet , così come dai pittori preraffaelliti , Millais fra tutti . Non facendosi mancare accenni di realismo onirico di derivazione bergmaniana . Siamo dunque in dotta ed inclita compagnia , come ci si deve forse attendere dagli artisti che passano al cinema . Comprese le ingenuità , le lungaggini , le pretese intellettualistiche un po’ mascherate da semplicismi patinati alla Vispa Teresa e le incongruità del racconto , tutte distillate però con la discreta prosopopea di una grappa D.O.C . Perchè il vero ricatto è , come sempre , altrove . Ossia nell’argomento alto ,civile e politico. Che ancora una volta aggrappa alla nobiltà del soggetto le discontinuamente raffinate pretese artistiche del manufatto . Che a sua volta potrà piacere ai più giovani , perchè non privo di alcune suggestioni morali ed estetiche . Ma precipiterà i diversamente tali in una restaurazione delle atmosfere da cineforum anni 60/70 , dove- anche se non sempre- una certa noia pensosa era lo scotto minimo per sentirsi diversi dalla massa .Concludendo , che cosa si imputa ancora alla regista ? Una derivazione troppo evidente dalla fotografia e soprattutto dalla video arte , che non narra, ma che , eclusi i grandissimi-per intenderci Pipilotti Reist,Bill Viola..-ammicca dalle pareti delle Biennali secondo due grandi filoni : il freneticamente rumoroso e l' ipnoticamente lento . Siamo nel secondo caso , ma senza ipnosi . Peccato però che dovrebbe essere un film.

*Turbulent ,Zarin ecc.





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