
Oggetto recensito:
Oscar 2008 come miglior film straniero, Departures (Okuribito) arriverà nelle sale il 9 aprile. Proviamo allora in anteprima a guardarci dentro. L’impressione globale, dopo più di due ore di film, è che di una buona mezz’ora avremmo fatto volentieri a meno.Okuribito ha un grande difetto, non conosce la misura, e non si tratta esattamente di durata. E’ la misura che dà la capacità di dire il necessario sfrondando il superfluo, rapire lo spettatore con alchimìe sottilissime che non sentano la necessità di esibire simbolismi e squadernare con didascalica diligenza repertori di compiaciuta, elegiaca intensità. Eppure Yojiro Takita è pronipotino di Kurosawa, Mizoguchi, Ozu, tanto per citarne alcuni, qualcosa dovrebbe aver imparato! “Uccidere i padri” sembra però ormai parola d’ordine anche nel paese del Sol Levante, e in questo il villaggio globale segna un’altra bella tappa di omologazione culturale. Daigo, violoncellista non talentuoso e senza orchestra, sciolta per mancanza di finanziamenti (e anche in questo tutto il mondo è diventato paese) trova un lavoro che altro non è se non quello di becchino. Se fosse in occidente nessuno ci farebbe caso, un lavoro non qualsiasi (ma in tempi di disoccupazione imperante questo e altro!), in Giappone la cosa ha ben altro senso, il rituale funebre, il legame con i morti, il tessere intorno a loro una specie di seconda vita con la cerimonia del “nokanshi” è parte integrante e forte di quella cultura (ricordiamo la bellissima sequenza di Vivere di Kurosawa). La salma va curata, vestita, truccata come fosse ancora viva, l'ultimo ricordo per i vivi, prima della partenza, dev’essere legato ad un’immagine che esorcizzi l’orrore della morte e della decomposizione. Daigo però ha equivocato l’annuncio sul giornale, Departures, e crede cerchino una guida di viaggio. Di viaggio infatti si tratta, ma l’ultimo. Costretto dalla necessità, fa buon viso alle difficoltà iniziali (pulire cadaveri può non essere l’aspirazione di un giovane musicista), sopravvive ad un inizio di incomprensibile emarginazione sociale in un paese dove i morti hanno gli onori dovuti (pare che emani cattivo odore sull’autobus che lo riporta a casa, la brava famigliola di conoscenti che incontra lo guarda schifato), la mogliettina, sempre carina e sorridente, questa volta si arrabbia e se ne va (ma tornerà, è incinta!), insomma, per ritrovare un po’ di forza non gli resta che aggrapparsi al fidato violoncello e suonarlo sul greto del fiume pieno di sassi (i sassi sono un simbolo fondamentale in questo film, fino all’ultimo fotogramma e in varia misura). Alla fine di questa penosa fase di apprendistato, merito soprattutto della serena calma e saggia iniziazione del maestro Sasaki (già presente in The Funeral di Juzo Itami), il giovane capirà il vero senso della vita e della morte, accetterà il nuovo lavoro di cui condividerà pietas e profonda nobiltà e l’ultimo cadavere che comporrà sarà quello del padre, rivisto (si fa per dire) dopo trent’anni da quando aveva mollato moglie e figlio per un’altra donna (ma, particolare agghiacciante, da testimonianze raccolte sembra che invece non ci sia mai stata nessuna donna, che cioè l’uomo vivesse da solo in un capanno di pescatori, ma sul perchè di questa scelta estrema il regista ci lascia volentieri all’oscuro). E allora, concludiamo, non si può negare al plot una sua originalità e alla fase di partenza della storia una gradevolezza che viene da una piacevole mistura di umorismo e malinconia. Certi primi piani del viso di Daigo, i suoi continui spiazzamenti rispetto agli eventi della vita, la ricostruzione puntuale del rito del “nokanshi” con la varia tipologia parentale che segue le operazioni sono buoni crediti per un film che, purtroppo, si perde lungo la strada, quando al regista sfugge di mano, appunto, la misura, e allora vira al mélo, al sentimentale, all’esibito, affastella una quantità di elementi irrisolti, esaspera nella ripetitività quello che bastava dire una volta sola, costringe lo spettatore non facile alla lacrimuccia ad agitarsi innervosito sulla poltrona in attesa della fine. Una buona occasione sprecata, non c’è che dire______(Departures-Okuribito - Giappone, 2008 durata 130’, di Yojiro Takita, con Masahiro Motoki, Tsutomu Yamazaki, Ryoko Hirosue, Kazuko Yoshiyuki, Kimiko Yo, Takashi Sasano, Tôru Minegishi, Tetta Sugimoto, Yukiko Tachibana, Tatsuo Yamada)
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