
Oggetto recensito:
Ho scoperto che la piantina con portamento cascante sotto il tetto piatto del mio garage è la Cymbalaria muralis, foglie cuoriformi, fiorellini a bocca di leone dal viola al bianco: la presenza della piantina sta a indicare che fin lì la caparbietà e la precisione della ditta di pulizie non è arrivata; invece nel cortile, rigorosamente asfaltato, non riesce a sopravvivere alla solerzia umana né la Plantago major, vista più volte negli interstizi della pavimentazione d’asfalto, e neppure la Setaria viridis; dietro alla grondaia; in un periodo di pioggia insistente era sbucata una piantina della famiglia degli Equiseti, un’altra volta una specie di felce (Asplenium trichomanes). Tutte regolarmente schiaffeggiate dal filo del decespugliatore. Daniele Fazio, agronomo paesaggista, ha osservato e fotografato le piante spontanee che crescono in città tra le lastre di pietra, i ciottoli, i porfidi, i mattoni forati, che colonizzano i muri, i tetti, i cornicioni o i monumenti, erbe e arbusti che sopravvivono al calpestamento, agli interventi di manutenzione eccessiva, strappate o tagliate o spruzzate di diserbante. Come se l’erba creasse disordine e degrado. La natura, dice Fazio, ‘si basa su un “ordine disordinato” che sottostà a precise regole biochimiche e fisiche’, è inutile che ci ostiniamo a relegare le piante, le erbe, solo nelle aiuole spartitraffico, nei giardini, nei parchi: loro spontaneamente –ma con non poche difficoltà- conquistano qualche centimetro di terra e lì ci vivono, per una primavera o per un anno. In un ‘apparente deserto biologico delle grandi metropoli si sviluppa una flora nascosta o poco evidente ai più, non per questo di scarso interesse naturalistico ed estetico’: certo la natura in città si presenta con la sua fauna in modo più evidente. A Torino gli aironi si posano anche sulle fontane interne ai cortili, nel lungo Po c’è il picchio che martella i tronchi dei bagolari, almeno una coppia di nutrie con prole incuriosisce (e preoccupa) chi corre sulle passeggiate dei fiumi. Le piante spontanee, invece, spesso vengono ignorate: la “flora urbica” non copre solo i cumuli di terra e di macerie nelle aree dei cantieri, nelle periferie, la troviamo –se siamo attenti- anche nei centri delle città (Roma in particolare, secondo le indagini eseguite finora, presenta un’elevata biodiversità anche nei quartieri più centrali). L’ambiente urbano è ricco di “spazi indecisi senza una specifica funzione e privi di attività umane”, dunque dove è possibile che crescano muschi, lattughe selvatiche, piantaggini, paritarie, trifogli, fin il garofanino minore (Epilobium parviflorum) in piazza Cavour a Chieri (2004) o l’olmo siberiano che nel ‘91 copriva buona parte di un semaforo in corso Trapani. I semi viaggiano seguendo meccanismi naturali di trasporto, via terra, acqua e aria, anche posandosi e germogliando molto lontano dalla pianta madre. Semi affidati al vento che scendono lentamente se dotati di ombrelli come il tarassaco, di membrane e a elica come il frassino e l’acero, appendici che sono in grado di far deviare il percorso e trattenerne la caduta. E quando si posano su un tetto, nello spluvio di un balcone, contro il muro di cinta di uno stadio, iniziano a crescere come fossero in un parco, finchè non interviene una manutenzione eccessivamente solerte -e a volte un po’ selvaggia.
Daniele Fazio, Giungla sull’asfalto, Blu Edizioni, Torino, 2008, p. 180, € 15
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