
Oggetto recensito:
Tre anni di silenzio. Tre anni di creazione. Solo in questo modo le grandi opere vedono la luce, lontano da sguardi indiscreti e contaminazioni inevitabili. Lontano dal mondo i Verdena sono riusciti a costruire un mondo nuovo, musicale psichedelico infernale e paradisiaco. E sembra che siano scesi proprio dal paradiso dantesco, in un viaggio a ritroso, portandosi dietro una quantità impressionante di immagini pure e nitide come la luce che avvolge le sfere celesti, per poi sprofondare nel fango dei suoni e delle onomatopee in cui strisciano i gironi infernali e le loro anime dannate.
Questo è il miracolo-Verdena: la purezza e la distorsione, la beatitudine e la dannazione, il volo e la caduta di un universo intero, universo del suono e dell'anima.
La struttura del disco è circolare, Scegli me (un mondo che tu non vuoi) e Lei disse (un mondo del tutto differente) sono i confini di un microcosmo che si presenta alla soglia del decennio con un titolo che lascia ben pochi fraintendimenti, ribadendo piuttosto l'umile auto-consapevolezza che a diritto appartiene alla band bergamasca: Wow.
Ogni pezzo è un capitolo in volo di un progetto più elevato, segue il precedente in una serie di aquiloni che abbracciano la terra senza mai toccarla, in un circolo lisergico che ci ricorda che siamo scimmie terrestri e piume nel vento. L'ascolto a occhi aperti viene naturale, come se il disco si presentasse nell'immaginazione non più soltanto come musica ma come repertorio di presenti e passati stupefacenti. Tutto riparte da zero, il linguaggio, le atmosfere, l'uso della voce e degli strumenti, con un leggero e malefico ricordo dei Beatles, QOTSA, Interpol, Nirvana, Flaming Lips, Pink Floyd e su tutti la coppia Battisti-Mogol. Ampio e diabolico uso dei synth, nuova e rigorosa capacità alla batteria (con una precisione maniacale), presenza costante del piano su tutti i livelli, che diventa rock, che ci apre orizzonti lontanissimi e poi ci porta nelle cavità vuote e gelide dell'anima, un uso della voce tanto architettato e sfaccettato da sembrare unico, semplice, irraggiungibile (Pj Harvey apprezzerebbe), frequente intervento di cori poco terrestri che ci suggerisce l'esistenza di un mondo di demoni, folletti e angeli che sorreggono con le zampe alzate ogni singolo pezzo.
27 tracce che sono romanzi con la propria logica (non-logica) interiore, ognuno con una forza strepitosa che striscia nell'orecchio e ci rimane aprendo infinite possibilità di comprensione. Questa è la chiave dei testi, che molta e ingiusta critica ha bollato come insignificanti. Le parole per Alberto Ferrari sono pasticche che si possono deformare, spaccare, schiacciare sul palato, ingoiare per poi godersi il viaggio, e ritornare semmai solo per prenderne un'altra. Parole fastidiose, funzionali, poetiche, evocative: la poesia dei Verdena sa evocare mondi inesistenti conferendogli parvenza di precisione, segue la musica al guinzaglio e nei momenti di ribellione è il suono che la strattona di nuovo ricordandole che hanno senso solo insieme.
Pazzi, coraggiosi, isterici, morfinoidi, geniali, illuminati.
Questo lavoro è un colossale monumento all'arte, alla musica, all'inferno e al paradiso. Ha bisogno di tempo, si recepisce e assimila pian piano, e quando la sua bellezza si schiude ecco che folgora e acceca. Solo poche anime al mondo sanno dare alla luce ad un'opera di questa portata, e l'anima dei Verdena sembra sciogliersi nel connubio tra Terra e Cielo.
Hanno saputo creare uno stile che non appartiene a nessuno, e forse neanche a se stessi, perchè nella chiusura totale al mondo c'è una grande finestra aperta al di là del mondo, attraverso cui volano lampi di purezza e stracci illuminati di poesia. E loro hanno la capacità di cogliere, di approfittare di questo passaggio per appropriarsi di frammenti di un altro universo, che noi non vedremo mai, se non coi loro occhi.
E il titolo del disco diventa l'unica parola possibile, dicibile, sensata.
Luciano Miconi
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