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Oggetto recensito:
Carnevale in strada: uno spunto per un'arte itinerante multiculturale
di: Maurizio Bongioanni




Anche quest'anno a Rapallo, ridente cittadina in provincia di Genova, il comune ha festeggiato il carnevale invitando artisti di strada e offrendo pignatte da spaccare ripiene di caramelle ai bambini mascherati. Non è la prima volta che partecipo con la mia compagnia di trampolieri a questa manifestazione. Ma camminando ad un'altezza diversa, su due gambe un po' più alte, le cose intorno sembrano nuove ogni anno. Okay, ci sono sempre le solite persone che ti chiedono “che aria si respira lassù?” oppure “com'è il tempo lì?”. Ma puoi fare ciò che vuoi, tanto sai che non verrai preso sul serio. E ogni anno mi meraviglio di me stesso per le cose che mi permetto di fare. Tutto un altro punto di vista, rispetto a quello della normale vita quotidiana. Ma anche questo rinnovato modo di vedere stava per abbracciare qualcosa di più profondo che, nonostante l'altezza, mi raggiunse mentre stavo seduto. Infatti durante lo spettacolo dei giocolieri, in scena subito dopo di noi, mi si avvicina un uomo robusto, sulla mezza età, con gli occhiali scuri ma trasparenti e grosse mani. Quelle grosse mani, con grosse dita, le notai subito perché il gesto che mi sventolava davanti alla faccia era inequivocabile. E la domanda che mi fece mi lasciò interdetto: “Ma chi è che mette 'ste musiche?”. I giocolieri continuavano a destreggiarsi e a far roteare le clave davanti ai volti sognanti dei bambini, incalzati da una colonna sonora russa, caucasica, tratta da un noto film degli ultimi anni: 'Ogni cosa è illuminata'. “E' la nostra playlist. Perché, che problema c'è?”. Davvero, sulle prime non riuscivo a capire cosa volesse chiedermi. “Il problema c'è” mi rispose e anche abbastanza seccato. “E' piena di parolacce: in sole due canzoni ha già parlato di tette, culi e mafia. Guardate che qui a Rapallo c'è una grossa comunità russa. Le mie figlie lo parlano correttamente e queste non sono canzoni da far ascoltare a dei bambini”. Ci scusammo, spiegammo che non avevamo mai analizzato i testi e il padre delle due bambine si allontanò ancora un po' stizzito. In effetti chi ci aveva mai pensato? Mica potevamo immaginare che quei testi... e chissà quante volte già era successo senza che ci fossimo accorti di nulla. D'altronde, a rifletterci un attimo, durante uno spettacolo di strada si può fermare chiunque. E l'arte di strada, che può far interagire fra loro soggetti con il solo - ma immenso - linguaggio del corpo, richiede che gli elementi di riempimento dello spettacolo, tra gesti e musiche, siano scelti in base a una selezione che tenga conto di tutto, in primis il pubblico. Probabilmente dovremmo smettere di pensare che il pubblico sia solo come noi italiani, se vogliamo coinvolgere tutti e cominciare a vedere, lì nella strada, le diverse culture, quelle a cui la comunicazione non si rivolge quasi mai, pubblici di esiliati. L'arte, e in questo caso la musica, può essere apprezzabile per qualcuno ma offensiva per altri, o perlomeno inadatta in quel momento specifico. Quante analisi superficiali, senza tener conto effettivamente dei destinatari, compiamo in questo modo? Credo parecchie. Quante volte, giudicando la forma, si compiono fraintendimenti fra persone di cultura differente? Quel signore mi è stato d'aiuto. Mi ha consigliato di porre più attenzione a chi c'è dall'altra parte, anche se non ci devo parlare direttamente insieme. Chissà che questo possa essere uno spunto per un'arte davvero multiculturale, nel senso che sia capace di unire. E poi chissà com'è risultato grottesco il nostro spettacolo agli occhi di quei bambini russi.





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