
Oggetto recensito:
Prendersi in giro, questa è la chiave,Woody ci riesce ancora, e lo fa piazzando a ripetizione lungo tutto il film una sublime autoaffermazione: io sono un genio. E cosa fa un genio? Ha gli anni che bastano per fregarsene di tutti,vive a Manhattan in un appartamento usa e getta,è sciancato per un tentativo malriuscito di suicidio e neanche il secondo andrà a buon fine, quando si lava le mani canta sempre Happy birthday To You e insegna a giocare a scacchi a pagamento per strada a ragazzetti, regolarmente perdendo la pazienza e insultando gli alunni testoni. Questo “genio” che vive per dimostrare la casualità dell’ordine cosmico, rompe la quarta parete e guarda in sala noi spettatori, ci addita agli amici nella prima scena e poi agli ospiti nell’ultima (ma questi non ci vedono) è lui il “genio”, quello che ha “lo sguardo d’insieme”, e solo lui può dirci:guardate cosa succede di totalmente insensato al mondo, basta che uno spermatozoo prenda una strada invece che un’altra e tutto può essere o non essere. Dunque specchiatevi, gente, e meditate. Il gioco del non sense parte da lì, e il “genio” sposa, o meglio, si fa sposare, da un concentrato di leggerissima nullità e avvenenza che è Mélody (poteva avere altro nome? certo che no), lui che vorrebbe invece starsene in pace da solo. Ma il Fato bussa alla porta con l’attacco della V di Beethoven e scombussola le carte. Si aprono piste impensabili un attimo prima, e una madre morigerata e mollata dal marito per la sua migliore amica si scopre una potente vocazione artistica e sessuale, entrambe felicemente conciliate e appagate; un padre si decide a riconoscere la propria omosessualità e viverla in pace; Mélody la smette di citare, storpiandole, le teorie scientifiche del marito e comincia a sbaciucchiare l’attor giovane, bello e romantico; Boris,il genio, dopo un accurato lavaggio delle mani, lasciato da Mélody si butta dalla finestra e cade su una medium che sposerà, probabilmente, quando lei toglierà i gessi, esito della rovinosa caduta di Boris stesso sulla sua persona passante, per caso, sotto quella finestra. La roulette della vita continuerà a girare, tutto lascia presumerlo, e se quello che è già successo dopo un po’ smetterà, come sempre, di stupirci, a Capodanno staremo tutti insieme appassionatamente a festeggiare l’anno che se n’è andato. E così, ci dice Boris (almeno a chi è rimasto in sala) festeggiamo la morte che si avvicina, e questo non sembra proprio avere nessun senso, a meno che non ci decidiamo tutti a conquistarci “uno sguardo d’insieme”, giocando a scacchi con il caso (o la morte? fa lo stesso, siamo a Manhattan mica in Svezia!). Il genio è tutto lì. Basta che funzioni, Whatever Works,il grande Woody torna alla grande e un copione stagionato per trent’anni ora produce un film teatrale dove tutto si tiene, in un gioco seducente e solo apparentemente leggero. Sulla scena sentiamo e vediamo sempre lui, la sua psicopatologia della vita quotidiana ci travolge con raffiche di parole che vorremmo trattenere tutte nella memoria. Un film da “leggere”, una sceneggiatura da procurarsi a tutti i costi e tenere sul comodino.
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