
Oggetto recensito:
C’è tutto, in quest’opera di Sokurov, il respiro narrativo dell’epos, il pathos sconfinato della tragedia e infine la leggerezza melodica della lirica che scava fino a lasciar trasparire, con un rapido guizzo, l’emozione dal breve frammento. Alexandra è una nonna dal corpo invecchiato e stanco, ma “la mia anima può vivere ancora un’altra vita”, dice in uno dei rari dialoghi del film, poche frasi, battute brevi, spesso solo accennate. Necessario vedere il film sottotitolato, ascoltare il fruscio sonoro di quella lingua, interrotto solo dai silenzi o dall’ingresso degli intermezzi per archi di Andrej Siegle del Teatro Mariinski di Valerj Gergiev. Con una valigetta su due ruote, Alexandra arriva al campo russo di stanza nella Cecenia occupata per vedere il nipote, Denis, lontano da sette anni. Resterà due notti e un giorno, ospitata nella baracca del giovane, poi salirà di nuovo su quello che sembra un treno merci, nel mattino di caldo soffocante, mentre Denis parte per una delle tante spedizioni di guerra e di routine. Lui è un professionista, combatte per mestiere, è povero e quindi non può sposarsi, dice alla nonna, che gli promette, partendo “Te la trovo io una bella moglie!”. Sokurov, in novantadue brevi minuti, ci squaderna davanti un intero mondo di vite vissute, paesi devastati, guerre diventate un vizio assurdo, giovani vinti che crescono nell’odio e così perdono l’innocenza dei bambini e giovani vincitori che, per un attimo, ricordano cos’era il calore di una famiglia e trattano la nonna con brusca tenerezza, le sfiorano la mano, le mettono il vasetto col fiore sul tavolo. Un film che racconta la guerra parlando da una prospettiva minima, un angolo di accampamento, l’interno buio e maleodorante di qualche baracca, lo scorcio di un misero mercatino del paese vicino, nella piazzetta in mezzo a case semisventrate dalle bombe, la polvere alzata dai camion fra la sterpaglia bruciata dall’afa, in un non luogo e in un non tempo, dove si annullano per smarrimento del senso, tutte le coordinate storico/geografiche. Il discorso sulla guerra qui parte, anzi, da una prospettiva ancora più chiusa, l’interno del carro armato dove Denis fa entrare la nonna appena arrivata, quasi un giro turistico. Cosa poteva dire il regista di Lebanon più di quanto non abbia già fatto Sokurov? “In quanti si sta qui dentro?” “Dieci”, “Stretti” sussurra Alexandra. Prova il fucile che il nipote ha con sè: “Facile”, commenta. Alexandra si aggira col suo corpo appesantito su gambe dolenti, imponendo a tutti, con ruvida semplicità, il ritorno alla normalità dei gesti, dei rapporti, del linguaggio, là dove logiche deviate e aberranti l’hanno stravolta, e dà il segno della sua alta moralità, quando dice al ragazzo ceceno che la riaccompagna al campo dal mercato: “Una vecchia giapponese una volta mi ha detto qual è la cosa che bisogna chiedere a Dio. Chiedi la forza della ragione, mi ha detto, la forza non è nelle armi o nelle mani degli uomini” Sokurov indugia su questo ragazzo, silenzioso, chiuso, che si avvicina alla transenna dove i giovani russi scherzano e li guarda, poi gira le spalle e va via. Forse un giorno si ammazzeranno, ma qui potevano quasi scherzare e ridere tutti insieme. C’è un mondo di donne che circonda Alexandra, le incontra al mercato e Malika l’accoglie in casa per un attimo, le offre una bevanda che sa di paglia e parla bene il suo russo: “Gli uomini possono essere nemici, noi donne ci sentiamo subito sorelle”dice. Poche parole e le due vite sono raccontate, la loro indistruttibile pietà torna a farsi sentire:“Quando guardiamo i soldati russi ci sembrano piccoli, come ragazzini. L’odore è quello degli uomini, ma sembrano dei bambini”. Il mattino della partenza l’accompagneranno tutte al treno, e il loro abbraccio con la promessa di rivedersi riesce ad illudere che possa esserci un futuro, chissà. Il film sfuma su questa scena, e mentre altre immagini sfollano dalla memoria, resta la dolcezza raccolta delle mani di Denis che fanno la treccia ai lunghi capelli della nonna, la sera nella baracca, “come una volta”.
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