
Oggetto recensito:
Comunicare coi morti, ha scritto Giorgio Manganelli, è impresa difficile a pensare, paurosa quando pensata, temeraria a intraprendere, poiché la natura dell’interlocutore, elusivo, taciturno, remoto, o quasi affatto consunto, praticamente inesistente, impedisce il contatto coi vivi. Impedito è agli umani in carne, ossa, sangue, transitare ‘la dogana del morire’, ma non per il vespillone, arredatore di stecchiti estinti, imbellettatore di disiecta membra, MR. Eliot Deacon. Esperto aggiustatore di defunti in cattivo stato, pervenuti alla funeral house privi di un sorriso consolatorio a beneficio dei parenti, il volto (quando di questo siano rimasi cenni e sia ancora attaccato al collo) lesionato da inopportune stramberie fisiognomiche, Deacon li rende riconoscibili, e perché no affascinanti di definitivo glamour. Lui sa come cavare da un rictus anaffettivo il riflesso di un ammiccante, se pure forzato, sorriso: con impareggiabile perizia, Deacon infila una cordicella all’interno della cavità orale del de cuius (renitente, ad aprirsi) e, con ingegnoso far leva attorno alla chiostra dentaria, manovrando come un burattinaio, dona all’utenza famigliare, astante nel lugubre laboratorio, il sorriso balistico del congiunto; il cliente desidera un sorriso largo? Ecco, basta allentare il laccio e il morto sorride; poi una foto e Deacon è soddisfatto: “Vedi come ti ho fatto bello?”, dice soddisfatto alla sagoma verdastra. “Farai una bella figura, in chiesa, domani!” Alto, ritto come Caronte nello Stige, negli occhi una luce inquietante, scaturita dal traffico con l’aldilà, Deacon (interpretato con severa dedizione dal gran bollito Liam Neeson) ha da poco finito di parlare con un ottantenne estinto, quando perviene nell’elegante, barocca casa dei morti, - stipata di putti in porcellana, madonne, cristi e teschi ammonitori, - miss Anna Taylor (la mortalmente brava Christina Ricci). La sera prima, delusa dal fidanzato Paul (Justin Long), incerta sul futuro di coppia, pigiando nervosa sull’acceleratore, Anna è andata a fracassarsi il cranio contro un camion. Ora giace allibita, gli occhi sgranati, ancora increduli, sul tavolo di lavoro di Deacon. La signora Beatrice Taylor, madre egoista (“Perché mi hai lasciato sola, Anna… come farò adesso?”, chiede al cadavere filiale) ma affettuosa vuole che Deacon faccia un buon lavoro, Anna deve essere bella al requiem. L’artista ha appena cominciato il lavoro di restauro (Anna ha una ferita profonda sulla fronte), quando la ragazza, stupita, sgomenta, si solleva sul gomito e pretende di essere viva: “Non sono morta”, urla. Deacon è inflessibile: “Sei morta, eccome”, argomenta con soave impegno. “Ecco il certificato di decesso… sei morta Anna… un camion… ieri sera… ma io ti farò bella per domani.”. Comincia un tira e molla tra la ipotetica defunta e il traghettatore. Anna è convinta di non essere morta, Deacon le impartisce lezioni di tanatofilosofia (“La vera morte è la vita”, sentenzia. “La vera vita è nella morte.”); Anna non è convinta, cerca di fuggire, l’uomo la raggiunge, la adagia sul tavolo, prepara gli strumenti, ma la donna insiste, soffia su uno specchio per dimostrare che è viva; Deacon è inflessibile: “Sei morta e meritavi di morire per vivere realmente… la tua vita è stata uno schifo, solo morendo avrai la dignità di una vera vita.”. Tra cadaveri che si muovono ghignanti – un museo delle cere di carne verdognola – nel laboratorio, mascelle che fanno clic, orbite oculari basculanti nel buio, la lotta tra il persuasore di morte e Anna continua per una penosa ora e mezza. Film dai colori ovviamente cadaverici, memore molto alla lontana di Sepolto vivo e Perdita di fiato di Poe, immerso in un’atmosfera cupa da pompe funebri, After.Life (il punto dopo After è stato messo per distinguerlo da mille titoli uguali e dal capolavoro di Hirokazu Koreeda del 1999) è un horror-ghotic banale, predicatorio, noioso, vagamente iettatorio (si consiglia di vederlo con corni e staffe di cavallo tra le mani!), diretto sgraziatamente dalla sconosciuta Agnieszka Wojtowicz-Vosloo (al suo attivo soltanto il corto pluripremiato Pâté del 2001) che affida tutto al trucco, agli effetti speciali e ai continui, ossessivi clangori di porte che si chiudono e si aprono. Meraviglia la propensione di Liam Neeson ad accettare (negli ultimi tempi) copioni che affossano le sue notevoli capacità di interprete; quanto a Christina Ricci, non mi meraviglio, ha smesso da un pezzo di darmi il piacere di vederla. Gli incauti detrattori del capolavoro Departures (Okuribito, 2008) di Yôjirô Takita potrebbero trarre da questo After.Life le soddisfazioni che quel film ha negato loro. [After.Life , USA, 2009, Drammatico] Regia di Agnieszka Wojtowicz-Vosloo Con Liam Neeson, Christina Ricci, Justin Long, Josh Charles, Chandler Canterbury, Celia Weston, Anna Kuchma, Shuler Hensley, Malachy McCourt, Rosemary Murphy]
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